• 02
  • Mag

Una flebo di Maalox, por favor.

Recensori che si autorecensiscono. Musicaioli che se la suonano.  Etichettari maleducati (“Se è imbarcato forse l’hai tenuto nel baule al caldo”… sì, assieme a quella vacca di tua madre!) Incessantemente ricoperto di promo abominevoli, saturo di nausea per questo tumore di cupcakes/”stasera metto i dischi”/fashion bloggers, mi sforzo di scrivere le seguenti righe per senso di giustizia nei confronti di chi colpa non ha, e, soprattutto, per non soccombere allo schifo montante.

Guidato dal disprezzo, vi ringrazio. Grazie, quindi. Grazie ar cazzo.

Quelli che seguono sono i pochi dischi ricevuti in questi mesi che meritano menzione. Tutto il resto o non ho ancora avuto tempo di ascoltarlo oppure è merda, quindi smettetela di pungolarmi: il vostro gruppo fa schifo, scioglietevi nell’acido.

La francese Frantic City, nata in seguito all’esperienza della ‘zine omonima, mi manda due dischi, il primo dei quali cela delizie. L’ambito è quello garage folk’n’roll, fortunatamente non a bassa fedeltà. Black Lips, Tijuana Panthers e altri sberluccicanti riferimenti, financo country. Variegato e con una profondità che si presta ad ascolti dalle variegate sfaccettature. Sbucati da chissà quale bettola di Lione, i Regal hanno salvato questa ormai moribonda “rubrica”.

I Marvin Gays, dal canto loro, mi propinano un r’n’b garagioso più sguaiato, che, seppure lontano anni luce da qualsiasi cosa io abbia voglia d’ascoltare da un tot d’anni a questa parte, ha un suo perché. Un perché che si regge sull’umiltà e l’aurea mediocritas. Quanto scritto può suonare come una stroncatura, ma se tenete conto che ‘sta roba ormai mi provoca attacchi fulminanti di colite, vi assicuro che è un buon segno: a qualcuno diverso da me può piacere.

Fuori dal gregge italico spuntano i Pecora, seguendo l’onda infame di monicker senza gusto (Altro, Verme, Cacca, Topino, Mamma, Ciao, Giacomo…) Per nulla infame è invece la proposta, un intelligente, forse financo troppo, electro-calambour partorito da un cervello ex- Bava (eccone un altro). Quando non si attorcigliano in versi da ossi-di-seppia, sono indubbiamente un bell’ascoltare. Marziali, corali, synthetici e sudati. Dico support.

A Roma da qualche tempo bazzicano i Wildmen che, udite udite, suonano ritmenblùs frammisto a garage. Nulla di inedito o inaudito, ma la verve c’è e anche la percussività bodiddleyana, motivi per i quali potreste trovare piacevoli note in questo 7” d’esordio.

E’ la volta degli Idol Lips e del loro ultimo album. Anche qua mi sentirei un babbuino se volessi descrivere un suono vecchio come me e sempre più uguale a sé stesso. Comunque buon disco, in special modo se sbrodolate per l’area grigia in cui rock e punk collidono, tra Heartbreakers ed Rubber City Rebels.

I Whiskey Funeral sono un altro gruppo che difficilmente riascolterò, ma al quale do atto di avere il cosiddetto ruggito del leone. Discreto hard punk, hard rock, say what you will. Tamarri, inguardabili… imperdibili per chi ama gli stereotipi.

Stessa solfa per i francesi R’n’Cs. Un po’ di Svezia (Peterpan Speedrock) e un po’ meno di America giusta (Speedealer). Non ci sono arrivato in fondo, ma meglio loro che i Bandabardò o i neo-emo italici.

Il 7” dei Loud Squirt è sempre quella roba lì, sporco r’n’r, ma con venature aussie punk. Non male, però adesso basta.

Non so se si è capito, ma il garage punk mi ha letteralmente fatto esplodere le gonadi. Pregovi di inviare dischi di generi più frizzanti e meno paludati… mi va bene anche il baile funk. Anzi, daje col baile funk!

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