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  • Gen

(Vom) Per esorcizzare l’anno neonato ed evitando la trappola del listone della spesa “The best of 2010″, evado un po’ di robaccia rimasta a prendere polvere. Alla prima stazione di questa dolorosa processione incontro i The Men, che sicuramente fanno sogni bagnati in location tipo il Golden Torch o la Blackpool Mecca. Soul, soul, soul, indeciso se stare dalla parte del r’n’b bianco venato pop o sulla riva piena di negri sudati e scalmanati. L’insieme non è del tutto esaltante, ma i ragazzi ci mettono anima e core, azzeccando alcuni refrains  e piazzando un malizioso hammond che schifo mai non fa. Oh, dimenticavo:  in “Leaving fairview park” fanno il verso agli Hollies pissighedelici, sfoggiando flauto traverso e tamburello. Vedete voi se è un punto a favore o di demerito. Per me è mezzo pollice verso the sky.

Nacho Fever (”Narvous as chained monkeys” CD), da Reggio Emilia, ancora una volta rhythm’n’blues, però inzaccherato di garage punk. Attivi ormai da alcuni annetti, musicalmente ben piazzati, dal vivo esagitati ma… ma… nel complesso non proprio sbalorditivi. Il tallone d’Achille è il cantato, che arranca e non aiuta a far decollare i brani, anzi… Ed infatti il momento più interessante è la strumentale “Beat… of course!” .

La Sunny Day Records mi offre i prossimi due dischi.  The Shake (”Try to get ready” CD), desde Almeria, si presentano, tanto per cambiare, vestiti di tutto punto con gessati d’ordinanza. Che due maroni. Mai che un gruppo garage si conci come gli Skrewdrivers o una band  black metal indossi bermuda, bandana e maglietta della Vision. Dai, cazzo, un po’ di fantasia! Vabbé, che volete che suonino? Soul, beat e tanto pop sulla scia degli Standells. La prima traccia è un bel rip off dei Manfred Mann, “Shame on you” copia senza accorgersene l’attacco di “I’m a miracle worker” e via di questo passo. Non male, per carità, ma ci sono mille altri dischi con idee originali prima di arrivare a loro.

In epoca di beach-fi, coast-gaze e cazzinmare vari, gli spagnoli Los Immediatos fanno un tuffo carpiato indietro di 50 anni e ci regalano un fiero jingle-jangle che se ne fotte della moda. Corettoni stile Cavalieri del Re o Jan & Dean, fuzz umido, chitarre luccicose e germogli power pop. “Another story”, gavettone da spiaggia, apre le danze egregiamente, e la farfisa che sguazza nella successiva “Having a look around” non mi fa pentire di avere pigiato play. Mica stupidi a scegliersi un nome così azzeccato. Consiglio con forza.

Altro giro, altro regalo. Dall’Ammmeriga atterra il disco dei Wheels On Fire, copertina oscena che nasconde un succulento concentrato di folk spuntato su letame punk. Da Athens, Ohio, i regaz hanno mani d’oro nello strimpellare corde e percuotere il percuotibile. Opere del genere portano alla luce qual è la qualità che ormai pare essere prescindibile e che invece “NO!, cazzo, non se ne può fare a meno”: songwriting, lo chiamano gli sfigati, la bravezza nello scrivere canzoni fighissime, lo chiamo io che sono ancor più sfigato. Ricordo di avere aspettato a lungo ed invano un intero album dei Barbaras, ed ora mi rifaccio con questo tripudio di brillantezza. Ballo con immagini alla rinfusa, i Marked Men agresti ricoperti da tonnellate di tamburelli, gli svedesi Ceasars al loro meglio, “Time Bomb Highschool” a volume 11… Ma quello che importa è che qua, appunto, si balla. E di brutto.

E’ il turno della Germania con i Kidnappers (”Will protect you” CD), veterani poppunk-rock. Dopo il punk’n’roll degli esordi, ci riprovano con la poppaggine che tira sempre come il pelo di quella cosa là che si sa quanto tira… A voler essere maliziosi si potrebbe pensare che i due gemelloni stiano cercando di seguire le più dotate orme dei Lost Patrol Band, non riuscendoci. Sono certo che a qualcuno potrà piacere, ma a me proprio no, perché, a dirla fuori dai denti, è un disco di una fiacchezza incredibile. Insomma, un carro di buoi tira molto di più.

Radio Vudù, punk rock nudo e crudo sul lato A e Detroit sound sul B. Copertina e testi dedicati alla feccia che governa il Belpaese. Poco altro da dire, se non che il cantante, anche per colpa di frasi assai ingenue, più che snotty risulta poco gradevole.

I bresciani Mugshots mi costringono a scrivere con imbarazzo queste poche righe. Punk rock pomposo e dai toni cupi, non T.S.O.L. ma piuttosto Damned epoca tastieroni. Quattro canzoni sul 10”, coraggiose, anche quando si sbilanciano con soluzioni ruffiane e pseudo-prog. Quello che però non mi permette di apprezzare la loro proposta è la pessima pronuncia inglese ed il cantato forzatissimo, ostacolo per me insormontabile e sopportabile a fatica. Me ne dispiaccio, perché quantomeno si discostano dalle solite schifezze che ci vengono spedite, ma la cover di “I surrender”  degli Adverts è il colpo di grazia dopo il quale non posso far altro che consigliare di “rivoluzionare” l’aspetto vocale.

Il cd dei Bed Blood non solo non c’entra una mazza con Bam!, ma fa anche simultaneamente cagare e pena.

Tocca ora al 7” delle Kamikaze Queens, che il press sheet definisce “burlesque punk cabaret from Berlin”… ed è subito vomito. Non tanto musicalmente, perché il loro voodoo-billy da supermercato non smuove né nausea né noia né gioia, ma per tutto l’immaginario da pin-up dei poveracci che si porta dietro il carrozzone burlesco. Niente altro da dire. Un 7” che si limita ad inquinare il pianeta senza portarsi dietro neanche una briciola minimamente degna di nota.

Chiudiamo, malissimo, con i “Demons”, già insipidi all’epoca dell’invasione hard punk scandinava. Dopo anni di silenzio ritornano alla loro maniera: pur maneggiando la stessa materia di Sonics e Devil Dogs, riescono nell’intento di annoiare l’ascoltatore prima che inizi la seconda traccia. Missione compiuta.

Finita questa dolorosa solfa, giaccio esanime e privo di speranza. Addio.

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