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l seguente articolo con intervista annessa è stato pubblicato due anni fa sul numero 6 di Bam! Magazine, ma ritengo sia importante dargli ancora una volta risalto. In un’epoca in cui le riviste musicali si approcciano, solo perché in odore di hype, a materie fino al giorno prima ignorate è bene mettere dei puntini grossi come macigni sulle i. La versione integrale di questa interessantissima chiacchierata la potete leggere ordinando la copia cartacea di Bam! #6. Non ve ne pentirete.

È innegabile che negli ultimi anni i suoni sintetici del post punk abbiano riconquistato un posto al sole, tanto che anche nell’ottuso ambito punk rock è tornato alla ribalta uno strumento che a lungo è stato guardato in cagnesco, quasi fosse l’unico responsabile della progressiva commercializzazione e conseguente sputtanamento di molte bands: la tastiera, il sintetizzatore o pianolina, come ero solito chiamarla da bambino.
Se è vero che da una parte è difficile immaginare il ‘60’s garage punk separato dal suono tremolante della Farfisa, è egualmente vero che negli anni ‘90 la qualità di un gruppo punk rock pareva essere misurata in base alla quantità di sudore versato sul palco: chi utilizzava strumenti elettronici, evidentemente considerati meno mascolini, sulle fanzine veniva spesso e volentieri bollato come “arty” o, ancora peggio, “gay”.
Fortunatamente l’idiozia dei corsi e ricorsi è norma anche nell’universo musicale e, per strane congiunzioni astrali, ora questa organo-fobia pare essere stata debellata, tanto che di gruppi che usano, e talora abusano, dei suoni sintetici ne spuntano come funghi. Limitandomi ad analizzare la sola nicchia del punk rock si può dire che uno dei gruppi che di recente più hanno influenzato, nel bene e nel male, molte nuove leve, soprattutto negli U.S.A. sono stati i Lost Sounds di Jay, ex Reatards. Il loro garage punk nevrotico aveva come principale attrattiva il crepitìo minaccioso di un sintetizzatore che rendeva ancora più spietato l’assalto sonoro. Non dico ovviamente che siano stati i primi a riabilitare certe sonorità, ma ancora oggi, ad ormai 7 anni di distanza dal loro esordio, è possibile rintracciare la loro influenza in numerose formazioni, dai Wrists ai Sick-E’s.
Questo rinnovato interesse per le “pianoline” ha finalmente scoperchiato il vaso di Pandora del synth-punk ed il primo e più imponente gruppo che ne è fuoriuscito sono gli Screamers, la leggendaria band losangelina che sconvolse chiunque ebbe modo di assistere ad un loro show tra il 1977 e il 1981. Una ferocia puramente punk. Un’intensità e potenza evocativa di rara bellezza. E tutto questo con l’ausilio di due sintetizzatori, l’urlo del compianto Tomata Du Plenty e una batteria secca come una pugnalata nella schiena. Chi non ha familiarità con questo gruppo è invitato a cercare su internet la ripresa live degli Screamers che eseguono “122 hours of fear”. Tutti vi sarà molto più chiaro. Un’introduzione che ricorda le angoscianti partiture di Carpenter e poi  un’esplosione che lascia delle ferite sul volto.
A lungo gli adepti del culto Screamers si sono accontentati di leggere ammirati le loro gesta o sbirciare fotografie sgranate pubblicate sporadicamente su qualche rivista; ascoltare un loro brano era pressoché impossibile, non essendo mai stato pubblicato alcun disco ufficiale: per anni a girare sottobanco erano solo dei gracchianti bootleg in cassetta e vhs sfarfallanti.
Eppure il segno che hanno lasciato è indelebile ed il loro alone di mistero ha attraversato quasi 3 decenni: nei corridoi bui del tempo il suono spettrale di quei sintetizzatori è giunto fino ad oggi, uscendo in superficie con un grande boato, grazie al doppio CD uscito per la Xeroid che raccoglie alcune esibizioni live degli Urlatori. Non si pensi che siano stati gli unici alfieri del synth punk, perché altre formazioni ci hanno regalato dischi fenomenali, come ad esempio i Dow Jones & The Industrials, Uj3rks, Units… Gli Screamers però, a differenza di molte bands dell’epoca, hanno portato avanti un discorso più complesso, che abbracciava altri mezzi espressivi come la videoarte e, soprattutto, hanno contribuito alla nascita della scena punk rock di Los Angeles, insieme a Germs e molti altri.
Il qui presente Paul Roessler era uno dei due tastieristi che hanno reso unico il loro sound. Leggere la sua biografia è come passare in rassegna gran parte della storia del punk rock e di certo hardcore. Senza che il suo nome sia diventato oggetto di culto, Paul è dagli anni ‘70 che suona e ha avuto un peso fondamentale nella creazione di tanti dischi che sono considerati pietre miliari del rock. Come se la militanza negli Screamers non bastasse, nel corso degli anni ha suonato con i 45 Grave (merito suo l’atmosfera cadaverica di “Sleep in safety”), negli algidi Nervous Gender, con Dez Cadena dei Black Flag nel folle progetto DC3, sue sono le tastiere in “Drug me” e “Stealing people’s mail” dei Dead Kennedys e una marea di altre cose che vi lascerebbero interdetti.
Le trame tastieristiche con le quali ha reso inimitabili i progetti ai quali ha preso parte fanno eco in molti gruppi odierni, che immancabilmente citano tra le loro influenze gli Screamers, una sorta di entità da venerare e da temere. Leggete quanto ci ha detto e poi, se incuriositi, procuratevi tutti i dischi per i quali ha donato anima e sangue.

introduzione di VOM

Tv Addict: Iniziamo con una domanda semplice. Quando hai iniziato a suonare? Suppongo sia avvenuto prima dell’esplosione punk quindi il tuo background sarà stato strettamente connesso al rock dei 60’s e dei 70’s. Ho letto che hai addirittura prodotto una rock opera intitolata “The Arc”…

Ho cominciato a prendere lezioni di pianoforte a 8 anni. A 12 anni ho iniziato a comprendere la teoria musicale e ho iniziato a comporre musica. In quegli anni ascoltavo Peter, Paul & Mary, Beatles, The Band, Dylan, Santana, band progressive come Yes, ELP e Jethro Tull, e poi i Rolling Stones, Zappa, Beefheart, Led Zeppelin, Hendrix… ad un certo punto persi la testa per Bowie.
A 16 anni ho avuto una sorta di svolta radicale e ho scritto una lunghissima e complicata piece intitolata, come dicevi, The Arc. Penso che fosse abbastanza influenzata dagli Yes e dai Jethro Tull. Mi piace ancora un po’ di quel genere musicale musica, anche se capisco perché qualcuno la odi. Ho passato anni cercando di insegnare “The Arc” a vari musicisti e l’opera è stata messa in scena qualche volta, ma ci volevano mesi per impararla… la vita delle persone coinvolte andava in frantumi cercando di venirne a capo. Bellissimo!
Nel 1976  decisi di studiare musica classica al college: adoravo Beethoven e Chopin. All’improvviso però arrivò il punk rock: prima i Sex Pistols, poi bands di Los Angeles come Germs, Weirdos, Avengers, Deadbeats… Durante i primi anni del college iniziai a suonare con gli Screamers e la mia educazione prese una strada differente…

Vom: Leggendo la tua biografia risulta particolarmente chiaro che per te la musica non è altro che una questione d’amore. Sei un tassello importante della storia del punk rock in ogni sua forma e, nonostante siano passati così tanti anni, hai dichiarato che tendi ancora ad innamorarti di una band per volta e ti ci dedichi appassionatamente come un vero fan. Qual è il tuo amore più grande, passato o presente? Guardandoti indietro c’è qualcosa che ti commuove ogni volta che la riporti alla mente?

Uhm… è una domanda molto personale alla quale non mi sento di rispondere. Però posso svicolare rispondendo in maniera stupida: la canzone “I believe in symmetry” dei Bright Eyes mi fa tremare ogni volta che l’ascolto.
Poi direi le persone che mi sono più vicine, tutti quelli che amo.
Creare musica ha dato un senso a tutta la mia vita.


Tv A.: Come è avvenuto il tuo primo approccio con il punk rock e quali sono state le prime persone/bands con le quali hai avuto a che fare?

Ho fatto le superiori insieme a Darby Crash e Pat Smear dei Germs, una delle prime punk band di Los Angeles. Darby era uno dei miei migliori amici. Un giorno mi invitò ad un loro concerto insieme ad un’altra grande band losangelina, i Deadbeats.
A quel tempo non ne potevo ormai più della musica rock. Al college studiavo pianoforte classico. È stato a quel concerto che mi sono reso conto che il rock era rinato sotto forma di qualcosa di completamente nuovo: era molto difficile descrivere con esattezza cosa fosse ma era più che evidente che fosse qualcosa di mai sentito prima… e ho voluto immediatamente farne parte!
Avevo ascoltato gli album di alcuni gruppi punk newyorkesi dell’epoca, i Blondie ed i Ramones, ma non mi avevano affatto colpito. Mi sembravano semplicemente un’involuzione del vecchio rock. I Germs ed i Deadbeats erano eccezionali e completamente innovativi. Poco dopo vidi i Weirdos, gli Screamers, gli Avengers… c’erano un sacco di grandi gruppi tutti nello stesso posto e nello stesso (breve) periodo di tempo. Poi c’erano gli articoli di Claude Bessey (Kickboy Face) su Slash Magazine… Più tardi arrivarono Nervous Gender, 45 Grave, Black Flag, Minutemen e altri ancora… LA è stata un calderone ribollente di musica fenomenale fino verso la fine degli anni 80. I Jane’s Addiction!


Tv A.: La lista delle bands e dei progetti che ti hanno visto coinvolto è così lunga e leggendaria che credo ci vorrebbero pagine e pagine per parlarne… Iniziamo da quella che è una delle mie band preferite di tutti i tempi, gli Screamers, “the best unsigned rock’n’roll band ever”, come vi definì Jello Biafra. Ricordo di aver visto una fotografia su di una rivista italiana del 1980, o giù di lì,  e me ne innamorai, sebbene riuscii ad ascoltare le vostre canzoni solo anni dopo, grazie ad un bootleg speditomi da un mio amico americano. Adoro il “progetto Screamers” nella sua interezza perché non si limitava alla sola musica: avevate il look, l’aspetto visuale/visivo, i primi video e una musica minacciosa prodotta da dei synths. Quali sono i ricordi più belli di quel periodo e quale è stato l’impatto che avete avuto sulla scena punk di L.A.?

Il ricordo più bello che ho degli Screamers è che stavo sul palco con una delle più fantastiche band che abbia mai visto. Quando a 19 anni mi unii a loro, erano già la punk band più famosa in California. Io ero un fan che alla fine era riuscito entrare nel gruppo.
A quel tempo suonavo la batteria nei Controllers e nei Waxx, ma gli Screamers sembravano fatti apposta per me dato che il loro suono era tutto basato sulle tastiere. C’è voluto un po’ di tempo prima di incontrarli, ma ad un party per i Sex Pistols a San Francisco ho detto a Tommy Gear: “Sono il vostro nuovo tastierista”.
Come hai detto anche tu prima, la musica è un mio grande amore. Far parte di un gruppo come gli Screamers, usare le mie mani e la mia mente per far ruggire la tastiera e in qualche modo guidare lo spirito di quella musica è una sensazione incredibilmente potente. Fare grande musica è un’esperienza quasi divina alla quale ho dedicato gran parte della la mia vita… è una sensazione che provo spesso mentre registro da solo in casa mia a tarda notte ma anche suonando con varie band, sia in concerto che in sala prove. A tornarmi in mente non sono aneddoti e storie, che sono sicuro siano ciò che molti tra i vostri lettori vorrebbero leggere. Io stesso mi sentirei una persona più calorosa ed umana se potessi dire che i più bei ricordi riguardano tutte le magnifiche persone che ho avuto modo di conoscere, e ce n’erano moltissime, specialmente mia moglie Hellin, Darby, Pat, Tomata, KK, Tommy Gear, Geza e tanti altri… ma non sono un individuo molto socievole. Non mi interessava la scena o la moda che le gravitava attorno, sebbene le “scene” e i movimenti sociali siano qualcosa di potente ed eccezionale. Semplicemente se non fosse stato per la musica, me ne sarei andato da qualche altra parte.
Per rispondere alla tua domanda, ti dico quindi che i ricordi più vividi che ho sono appunto le sensazioni che provavo sul palco o in sala prove mentre suonavo. Forse è qualcosa di simile a quello che prova il pilota di un caccia bombardiere o un astronauta…

Tv A.: Questa è la vera domanda, alla quale mi immagino avrai già dovuto rispondere chissà quante volte: perché gli Screamers non hanno mai pubblicato un disco quando erano in attività? Non credo sia perché nessuno vi abbia offerto la possibilità…

Gli Screamers si rendevano conto che una registrazione non avrebbe catturato fedelmente l’intera “Screamer experience”. Volevano essere multimediali e completamente differenti da qualsiasi altra band. Hanno fatto moltissimi sforzi per raggiungere quella “visione” ma all’epoca era qualcosa di difficilmente realizzabile e penso che alla fine sia stato proprio questo a distruggere il gruppo.

Vom: Potresti parlarci dei 45 Grave e descriverci l’atmosfera che condusse alla creazione di “Sleep in safety”? Il tuo synth conferisce a quell’album un’atmosfera spettrale che fa guardare sotto al letto prima di coricarsi, per sincerarsi che non ci sia il Babau.

Guarda, mi sono sempre sentito un po’ staccato da quella band. Conoscevo Don da quando suonava nei Germs; il manager dei 45 Grave gestiva anche il mio gruppo, i Twisted Roots ed è stato lui che più o meno ci ha messi assieme. Il loro primo 7” è proprio incredibile, una vera pietra miliare, però loro erano appassionati di droghe, ossa e altre cose strane… ed io avevo appena avuto dei bambini! Il mio interesse era puramente musicale, anche se pensavo di essere fighissimo tutto truccato! Registrammo l’album nel seminterrato del grande edificio della Capitol Records a Hollywood dove erano stati registrati un sacco di vecchi dischi: Frank Sinatra o qualcuno del genere. Il produttore era Craig Leon. Aveva una piccola e graziosa tastiera Casio con uno stupendo suono d’organo. Aveva anche la mia tastiera preferita in assoluto, il Moog Opus 3 che all’epoca odiavo ma che più avanti usai tantissimo per produrre dei suoni magnifici: la puoi sentire sulla mia pagina Myspace, nella cover di “Highway 61 Revisited”.
Mentre registravamo “Sleep in safety” sono accaduti drammi deprimenti d’ogni tipo e ci sono stati un mucchio di discorsi su “vintage” e “retro” che io non capivo proprio, poiché secondo me avevano un suono super tecnologico. Io però me ne sono stato abbastanza per i fatti miei, limitandomi a suonare le mie parti di tastiera… tra Don Bolles, Paul Cutler e Craig Leon c’erano già fin troppi “cuochi”…


Vom: Tra le tue innumerevoli esperienza musicali hai suonato anche con Nina Hagen e hai fatto un tour europeo con lei. È stata la prima volta che sei venuto nel vecchio continente? Negli anni 80 ero ancora un bambino ma credo che l’Europa all’epoca fosse abbastanza “spaventosa” (non che oggi sia un luna park, eh). Ricordi qualcosa che ti colpì particolarmente duranti il tour?

Quel tour è stato anche la prima volta che ho messo piede in Europa. Era il 1980. 60 città. La vita durante tour come quello è simile a quella che si fa sopra ad un’isola: viaggi e lavori, cercando di dare il meglio di te stesso durante gli show, tutto questo in mezzo ad un chaos totale.
Ricordo di aver passeggiato moltissimo, solo soletto. L’Europa è bellissima. La comune di Cristiania, a Copenhagen, era veramente strana: sicuramente esistevano posti del genere anche in America ma non mi era mai capitato di vederli di persona.
Guidare attraverso “il corridoio” che portava a Berlino mi fece toccare con mano la realtà della guerra fredda, una cosa di cui in America non v’erano tracce tangibili.
Fare una conferenza stampa a Parigi insieme a Nina, con centinaia di flash che ci accecavano, è stata un’esperienza abbastanza unica. Anche solo stare di fianco a Nina era una cosa sempre eccitante: in Svezia fumò hashish in televisione ed il giorno dopo finì in prima pagina sui giornali. La polizia ci mise a soqquadro il bus prima che lasciassimo il paese…
Da allora sono ritornato in Europa un po’ di volte. L’ultima volta è stato con Mike Watt nel 2005: sono finalmente riuscito a vedere l’Italia e me ne sono davvero innamorato.

Vom: Sono molto curioso di sapere come sei finito a scrivere colonne sonore per film porno. Quali sono i titoli sui quali hai lavorato? Al di fuori dell’industria del porno, c’è qualche compositore che ammiri?

Ero amico di un ragazzo pieno di talento, Andy Prieboy, che era il secondo cantante dei Wall Of Voodoo. È stato lui a combinare il tutto. Uno di quei film si chiamava “Club Hades” per il quale abbiamo scritto un pezzo chiamato “Harder”, successivamente pubblicato dalla Glassnote con il titolo di “Saboteur”. Ho scritto 5 o 6 colonne sonore. Non è affatto semplice per me. La mia musica non è abbastanza “generica” per il tipo di accompagnamento musicale che cercano i produttori di film hard. Alcuni però erano dei film fetish che avevano una certa originalità. È stato divertente lavorare con Andy; assieme abbiamo scritto del buon materiale. Più tardi ho provato a farne qualcuna da solo ma si è rivelato essere un lavoro pesantissimo e non sono saltate fuori delle grandi cose.
Adoro molte colonne sonore. Ovviamente Morricone. Ne ho scritte alcune anche per film commerciali e non è stato proprio come bere un bicchiere d’acqua, anche se amo farlo. Preferirei che qualcuno scrivesse un film basandosi sulla mia musica.

Vom: Nel settembre del 2005 sei stato nel Mississippi per 6 mesi per stimare i danni dell’uragano Katrina. È il tuo vero lavoro? Poco tempo fa ho guardato “When the Levees Broke: Requiem for New Orleans”, il documentario di Spike Lee e dire che ne sono uscito turbato sarebbe poco. Questa esperienza ha influenzato la tua musica o le tue poesie?

No, non è il mio vero lavoro: ero un totale impostore laggiù! Un mio amico aveva bisogno di gente che andasse con lui sul posto, quindi io accettai e imparai sul campo. Il mio vero lavoro è registrare e produrre band in uno studio a Malibu insieme a Geza.
Non c’è alcun modo di descrivere ciò che è successo in Missouri e Louisiana per colpa di quell’uragano. Centinaia di miglia di città costiere sono state completamente spazzate via. Quando arrivai là c’erano soldati, niente elettricità e chaos assoluto. Ho fatto centinaia di fotografie per documentare i danni provocati da Katrina. La sofferenza di quella gente era immensa. Di qualcuno sono anche diventato amico. Non riesco proprio a spiegarlo a parole.
C’erano tante persone che aiutavano con ogni mezzo e provenivano soprattutto dalle chiese di tutta la nazione. Questa cosa mi ha sorpreso. Non c’erano molti anarchici o punk tra i soccorritori, anche se sono sicuro ce ne fosse qualcuno. Sono stato molto “fortunato” ad aver vissuto un’esperienza del genere. In quelle zone la gente sta soffrendo ancora; molti hanno perso qualsiasi cosa. La calamità ha lasciato 500.000 persone senza casa. È qualcosa difficile da comprendere.
Mentre ero laggiù non ho potuto comporre musica. Inaspettatamente ho iniziato a scrivere alcune poesie che però non riguardano l’uragano o quello che avevo visto… parlano di me quando ero più giovane. Una casa editrice chiamata Brass Tacks Press le ha pubblicate in un volume chiamato “8 years”.

Vom: Puoi parlarci del tuo libro “8 years”? C’è qualche poeta passato o contemporaneo che ha influenzato la tua scrittura?

Non mi piace poi così tanto la poesia: molta non riesco proprio a comprenderla. Ovviamente ho letto tante cose di Bukowski, come la maggior parte dei punk, e poi Rimbaud, Baudelaire, Milton, Dante, Shakespeare e Joyce ma non sono affatto ferrato in materia. Non avevo altri sbocchi creativi quando ero nel Mississippi e così mi sono venute fuori spontaneamente. Volevo scrivere un lungo poema intrecciando tre argomenti: il creare musica, il mio matrimonio e la tossicodipendenza. 8 anni della mia vita, dal 1993 al 2001, il periodo in cui è stato registrato “Curator”… Non penso proprio che sia poesia di ottimo livello, ma è comunque un libro piuttosto bello. Non ce la si fa proprio a leggere ogni singola poesia individualmente ma, se la leggi nel contesto dell’intera opera, ti logora… ti rende MOLTO NERVOSO… ti fa sentire come se tu avessi guardato qualcosa che assolutamente non dovevi!!!

Vom: Paul, tu sei stato testimone della nascita del punk rock e poi ti è capitato di essere strettamente legato ad alcune delle prime seminali bands hardcore punk. Hai suonato le tastiere in studio in alcuni pezzi dei Dead Kennedys (“Drug me” e “Stealing people’s mail” su Fresh Fruit For Rotting Vegetables) per non parlare poi dei Redd Kross, Saccharine Trust, Jack Grisham dei T.S.O.L., eccetera. Hai suonato anche con Dez Cadena nei DC3 e, cosa non da poco, tua sorella Kira era la bassista dei Black Flag. Leggendo molti libri riguardanti il punk rock delle origini ho notato che molti dei musicisti/artisti che hanno fatto la storia di questo genere tendono a considerare la nascita dell’hardcore come una piaga. Cosa ne pensi? Cosa è successo nella scena punk rock durante gli anni che vanno dai tardi 70 ai primi 80?

Non considero l’hardcore come una piaga ma semplicemente una musica non molto interessante. Tutte le band che hai citato sono ben lontane dall’essere formulaiche; la grandezza dei Black Flag consiste proprio nella loro capacità di evolversi. Quando ascolti la loro opera omnia ti rendi conto che è piena di cambi di rotta. I DC3 poi erano la cosa più lontana dall’hardcore che tu possa immaginare… più Hawkwind e Mountain che altro. I Dead Kennedys erano piuttosto originali quando vennero fuori: non li riconosco come i padri di un genere musicale, bensì una “semplice” continuazione e amplificazione dello spirito punk originale. Nuove band hanno continuato a saltare fuori da L.A. e alcune erano eccellenti: Minutemen, 45 Grave, TSOL… tutto questo fino al 1987, con Jane’s Addiction, Tool e Guns n’ Roses.
Ma, per quanto riguarda l’hardcore nudo e crudo, o io sono diventato vecchio o un mucchio di gruppi hanno cominciato a suonare uno uguale all’altro. Probabilmente sono invecchiato.

Vom: Ora suoni con Josie Cotton, famosa per la hit del 1982 “Johnny are you queer?”, e l’anno scorso hai prodotto il suo album. Come sei entrato in contatto con lei? Hai altri progetti in cantiere?

Josie è una vecchia amica. Anni fa iniziammo a lavorare a quello che poi diventò “Movie disaster music” ma lei ad un certo punto lo mise da parte. In seguito le chiesi di finirlo e farlo uscire. Mi sembrava un disco veramente unico ed armonioso. Assieme facciamo anche alcuni concerti. Ogni tanto suono ancora dal vivo anche con Nina Hagen.
Adoro registrare band nel nostro studio. Ci metto tutto il mio cuore ed è come se per un certo periodo di tempo io mi unisca a loro. Una volta suonavo davvero con varie band, ora le registro e basta, per poi mandarle in giro per il mondo. Mi capita spesso di passare da due settimane ad un mese con ogni gruppo.
Ultimamente ho lavorato con: Terezodu, Mystery Hangup. Tribe After Tribe, Cakecutter, the FreQuencies, Loose Ties, Mike Watt, The Barbarellatones, Anthony Burdin…
Ora sto pensando di cantare e suonare per i prossimi 6 mesi, registrando tutto, per poi magari mettere insieme un CD molto minimalista scegliendo i 60 minuti migliori!

http://www.myspace.com/paulroessler

http://www.myspace.com/screamers

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