• 05
  • Ott

Premessa

Scrissi questo report i giorni seguenti il festival che si è tenuto a Barcellona dal 31 maggio al 3 giugno 2007, ma persi immediatamente il file sul quale avevo impresso a caldo le mie impressioni. Solo pochi giorni fa, però… ABRACADABRA, l’ho ritrovato per magia e quindi ve lo propongo a puntate in tutta la sua primigenia ingenuità, con tanto di fotografie scattate da me medesimo con totale imperizia.


Anno che viene, Primaverasound che va. Anche quest’anno, come i due precedenti, mi sono concesso una sosta, un sospiro di sollievo, un salto dove l’acqua è più blu. Il Primavera Sound è il festival perfetto (o quasi). Un centinaio di gruppi spalmati su 3 giorni – 4 se si considera l’after party – in cui vengono accontentati i gusti più disparati (Ok, va bene, il grind non c’è. E no, neanche l’hip hop negro. Il liscio? Che due maroni, ora basta. Era solo un modo di dire!).

Dicevamo, la varietà e la qualità sono tali che sono solito acquistare l’abbonamento in gennaio, ovvero mesi prima che venga rivelato il cartellone. E’ un appuntamento al buio e, devo dire, fino ad ora non mi sono mai trovato a braccetto con un brutto cesso. Anzi.
Anche l’edizione 2007 si è rivelata ricolma di nomi altisonanti, band che sognavo di vedere live da anni, nuove e vecchie promesse. Un emporio della musica, insomma, condito di birra e vento, che, ve l’assicuro, non vanno a braccetto, soprattutto quando il vento si rivela essere hermano della bora. E allora si sono visti bicchieri prendere il volo, pisciate ribellarsi e adagiarsi sui jeans degli indie-rockers, suoni che partivano per la tangente per poi ritornare con il refolo successivo… Il vento ha fatto un concerto della madonna. Ha spazzato via tutti.

Ma, oltre ad Eolo, i protagonisti erano tanti; i Melvins, sopra a tutti. Il loro è stato il concerto che senza ombra di dubbio più mi ha sconvolto. Basti dire che un mio amico, appena hanno attaccato con frequenze così basse che bisognerebbe dichiararle fuorilegge insieme al Pvc e alle magliette Baci & Abbracci, è sbiancato perché temeva di essere in procinto di avere un infarto. “Ragazzi, non mi sento bene. Me ne vado!”. L’abbiamo confortato e coccolato sussurrandogli nell’orecchio: ”Non preoccuparti. E’ tutto a posto. Sono i Melvins. Dai! Sai, King Buzzo? Te lo ricordi? Quello con i capelli pazzi…”. Per sua e nostra fortuna è tornato in sé nel giro di pochi minuti e così si è potuto godere l’esecuzione poderosa di tutto “Houdini”. I Melvins hanno dimostrato di fare storia a sé, tanto che i paragoni con le altre band non sarebbero corretti e per questo volto pagina e mi dedico solo ai pochi gruppi che meglio possono alloggiare tra le pagine di BAM! Siete dei puzzoni rocchenròl ed io vi assecondo, come si fa con i poco normali.


JAY REATARD (ore 21.15 - Vice Stage)

Ha la pappagorgia. Lo so. Ma so anche che è un eccellente cantautore, nel vero senso della parola. Nonostante nutra per lui un’antipatia difficilmente eliminabile, mi trovo immancabilmente ad ascoltare a ripetizione ogni suo nuovo parto. Dai Reatards fino al suo attuale progetto solista, passando per Bad Times e Final Solutions. Checchè se ne dica, il pacioccone ha talento e grande cultura musicale, e lo dimostra ogni volta con le cover che sceglie e i furti che mette in atto. Detto questo, avevo visto Jay dal vivo 3 giorni prima al Taun di Fidenza. Stanza crematoria. Lui nervoso, irascibile e ben poco tollerante, come se fosse solito suonare sempre nei refettori di monasteri. Se hai deciso di suonare punk rock, per di più veloce e rabbioso, mi sembra il minimo che qualcuno si agiti e oltrepassi il sacro confine del palco. Più tardi infatti, dopo aver sospeso il concerto in fretta e furia dopo 20 minuti scarsi, avrebbe chiamato in causa un dente scheggiato. Vabbè. Certo, ci sono persone nel pubblico che talvolta andrebbero scuoiate e ricoperte di sale grosso, ma le reazioni di quest’omone sono sempre fuori dalle righe. La faccio breve. Al Taun ha fatto un concerto così così. Breve. Nevrotico. Indisponente.

A Barcellona il contesto era tutt’altro. Palco immenso sponsorizzato da Vice. Jay è su quel palco. C’è ogni ben di dio. Luci lucenti. Suoni suonanti. Il logo di Vice in ogni dove. Cazzi. E soprattutto mazzi. Come dire: zero punk rock, se tra di voi c’è qualcuno che bada a queste cose. Il “nostro”, aiutato da 3 prodi Boston Chinks, ha snocciolato un brano dopo l’altro. Senza sosta. Impeccabile e assolutamente travolgente. 30 minuti abbondanti durante i quali ha eseguito gran parte dell’LP insieme ad estratti dal recente 12” su In The Red e altre pepite tratte dai 7”. Purtroppo anche qui non si è smentito, prodigandosi in smorfie odiose, sputi, lanci di oggetti (una bottiglia ed una lattina ovviamente piene) e così via, peccato che fare il GG Allin dei poveri su di un palco griffato è quantomeno ridicolo.

Sociopatia a parte, è stato un concerto musicalmente esemplare, sebbene mi abbia lasciato con un annoso dilemma: se gli fa così schifo il suo pubblico, perché cazzo non se ne sta nella sua cameretta a farsi le pugnette sulla chitarra? Mistero della fede. Intanto io ci casco puntualmente.

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