Archive for Gennaio, 2010

The Untamed - Delicious death… (Heptown)

Mercoledì, Gennaio 6th, 2010

(Vom) L’adorato J. Tex e la sua etichetta mi sbatte sul piatto il terzo disco degli Untamed, trio danese devoto all’occulto da cartolina, che evocano frullando garage punk, country, rockabilly e tutti quei suoni che se li ascoltate al contrario sentite Lucifero che vi ordina di praticare un rimjob al Papa. Avete capito, no? Il numero di telefono della bestiola, insomma. Morte danzigosa, quindi. Ops, intendevo dire deliziosa. Così si intitola il discolo ed è un gran piacere. Perverso, da cripta ma anche da veranda nella prateria, con salopette unta e banjo a tracolla. Spazia dall’up-tempo forsennato al walzer luttuoso, con un armamentario che comprende un piano orgogliosamente honky tonk e dei cucchiai rubati a Spoonman (R.I.P.). Un disco profondamente paludoso ed americano e quindi, stando alla storia recente di queste sonorità, neo-europeo, con Voodoo Rhythm ed Heptown a dettar legge.

Mostrate il ditone ai neverending tours di Fuzztones o Demented Are Go e pregate affinché gli Untamed si degnino di considerare questa triste terra. Tenete inoltre presente che il chitarrista/cantante si chiama Marco Burro! Kapeesh’? Marco Burro! Con un nome del genere you can’t go wrong. Un po’ come Damon Hill! Ricky Tractor! Pasqualino Settebellezze! E allora daje, Burro, dajeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!

Contatti:

http://www.myspace.com/theuntamed

Kernel - Servant Of God (Punishment 81 records)

Mercoledì, Gennaio 6th, 2010

(Vom) Kernel. Già, sono gli stessi Kernel che ormai dieci anni fa suonavano un hardcore punk su cui non mi pronuncio. Con moderata sorpresa me li ritrovo nel 2009 in veste semi-thrash metal. Lo dico da subito. Sono spanne meglio di un tempo, in questa cupa incarnazione. L’apertura affidata a “Child” è precisa e poderosa, con un drumming non fantasioso ma comunque millimetrico ed efficace, riff strappacuore ed assoli creativi . Il tachimetro indica velocità discrete ed il loro metal cimiteriale mi ricorda i Coroner o, inevitabile, gli Slayer. L’intero disco è una buona prova, in bilico tra tradizione e staccati mosh e cadenzati (purtroppo) memori di una tradizione tardo anni 90. Se confrontati ad altre formazioni italiane non posso che riconoscere loro il merito di non essere saliti sul carrozzone del thrash for fun, che ora spopola tra grandi e piccini. Non si parla di birra e l’entroterra hardcore risulta evidente dai temi trattati e dalla scelta di includere due brani nella nostra lingua. Inizia ora la nota dolente. Il cantato. Un growling costante, uno sforzo troppo palese ed innaturale, unito ad una pronuncia dell’inglese che bisognerebbe assolutamente perfezionare. Per questo motivo “Falsi liberi” e “Il mio destino”, le canzoni in italiano, sono da considerare germogli di cui i Kernel si devono prendere cura, per distinguersi e possibilmente aprire una nuova via, a patto che ai testi ci si dedichi con maggiore attenzione, evitando frasi che ora come ora paiono haiku esistenzialisti da oratorio. Luci ed ombre, certo, ma degli ascolti “Servant Of God” li merita comunque.

Contatti:

http://www.myspace.com/kernelthrash

Gods Of Gamble - Mind The Pain (Stampace Recors)

Mercoledì, Gennaio 6th, 2010

(Vom) Incredibile. Tempo di aprire il pacchetto, estrarre il cd ed i fogli che lo accompagnavano, che avevo già perso la lettera di presentazione. Ricordo solo di avere intravisto un piccolo elenco dei loro lumi tutelari, di cui ricordo un Johnny Thunder, ovviamente scritto con la H nella posizione sbagliato. Classic.

Cagliaritani in giro da ormai da parecchi anni ma che, a giudicare dal sangue elettrico che scorre tra le trame di ogni brano, potrebbero provenire anche da New York o Cleveland. Sono esseri visibilmente consumati dai watt e non hanno impiegato molto ad intrappolarmi nella loro rete. Hard-punk che per una volta non significa Scandinavia ed esclusiva devozione agli MC5. C’è quello, certo, con l’aggiunta però di un incessante lavorio chitarristico alla Sonic’s Rendezvous Band e gustosi rimandi alla third generation nation dei Dead Boys. Se siete in cerca di riferimenti più vicini ai giorni nostri, pensate ai Black Halos o ai Gaza Strippers. “Mind the pain”, la traccia che dà il nome all’album, avrebbe fatto bella figura anche nel capolavoro dei Demolition 23 e questo è per me il miglior complimento possa far loro. A seguire trovate addirittura una “One more drink” che ai più avveduti ricorderà i Nomads. Che volete di più? Un ottimo disco,senza facili concessioni alla melodia e con un tiro invidiabile. Puntate su di loro ad occhi chiusi.

Contatti:

http://www.myspace.com/godsofgamble