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Intervista a VIC BONDI (Articles Of Faith, Jones Very, Alloy, ecc.)

Venerdì, Settembre 14th, 2012

I nomi ed i loghi più ricorrenti nell’ambito dello stardom hardcore sono sempre quelli. Guardatevi braccia, pancia o glutei. Il 90% di voi è probabile li abbia impressi indelebilmente. Senza ombra di dubbio però non si troverà il mirino scentrato che vedete qua sotto.


Curioso come uno dei più genuinamente polemici personaggi della prima ondata hardcore, in possesso di armi e talenti meritevoli di ben più alti riconoscimenti, passi spesso in secondo piano negli annales musicali. Vic Bondi è stato infatti sorgente vitale da cui sono scaturiti gruppi potenzialmente seminali quali Articles Of Faith, Jones Very, Alloy, emanazioni dirette dei padri putativi dell’hardcore statunitense, ma capaci di rimodellare la forma del genere inglobando elementi topici del rock americano. In maniera del tutto ideale, la traiettoria di Vic è arrivata anche a lambire la tradizione folklorica del cantore solitario, anima del tutto smascherata nel suo album solista, per poi tornare alla vecchia fiamma punk con gli iperpolitici Report Suspicious Activity.
Personalità quindi poco sedentaria – figlia forse della vita nomade impostagli dalla famiglia fino all’età di 18 anni – e, da quanto si evince da interviste rilasciate a magazines o documentaristi, non accomodante.

Questa chiacchierata, svoltasi quasi 2 anni orsono, tocca alcuni temi personali e altri che ineriscono perlopiù al solo periodo Articles Of Faith. Per contestualizzare, immaginatevi il figlio di un militare, sballottato da una base all’altra, che ad un certo punto entra in contatto con la realtà punk/hardcore in quel di Chicago verso la fine degli anni 70. 
Mia intenzione era toccare anche le ere successive, a me particolarmente care, fino ad arrivare al ruolo importante che Vic ha avuto in qualità di ingegnere presso la Microsoft. Tutto ciò non è stato possibile, poiché 1) il nostro caro compaesano ad un certo punto si è eclissato e con lui anche il suo sito personale; 2) l’idea di pubblicare Bam! #8, sul quale avrebbe trovato alloggio questa intervista, ha subito contraccolpi a causa di vite che prendevano strade inaspettate.
Vista la portata universale delle parole di Vic, l’ho finalmente tradotta per sottoporla all’attenzione di chi sa di chi stiamo parlando o semplicemente è curioso di sapere.

Per una più completa esperienza, ho approntanto una mia personale antologia di brani che potrete scaricare cliccando sul LOGO ad inizio articolo. Sono alcuni dei miei preferiti, pescati qua e là da quasi tutte le incarnazioni musicali di Vic. La qualità è altalenante perché per condividerli con voi ho dovuto attingere da diverse fonti su internet.

Buon tutto.

 

La recente (all’epoca N.d.Vom) notizia della reunion  degli A.O.F. è giocoforza l’argomento da trattare per primo. Puoi dirmi qualcosa a riguardo e svelarci se sarà un ritorno touch & go o se per caso avete intenzioni “serie”, con tanto di tour e nuove releases annesse?

Per adesso ci saranno solo due show al Riot Fest e l’e.p. “New Normal Catastrophe” per Alternative Tentacles. Non abbiamo ulteriori piani, ma chissà. Il motivo della reunion è presto detto: Mike della Riot Fest ci ha chiesto di suonare e, adorando tutti noi quel festival, abbiamo accettato volentieri. Dopo una serie di prove per preparare i live, ci siamo accorti che le cose tra noi andavano così bene che abbiamo deciso di pubblicare il 12”. Credo che se qualcuno ci facesse un’offerta allettante potremmo anche valutare di proseguire. Senza dubbio ci piacerebbe fare un tour in Europa… Per ora, comunque, non abbiamo pianificato nulla. (ed infatti tutto è finito lì N.d.Vom)

Ora riavvogliamo il nastro tornando agli inizi. Sono passate tre decadi durante le quali hai, con una certa costanza, trovato la forza di scagliarti contro  lo status quo e le mostruosità dei Governi in carica, dall’era reaganiana fino all’impero dei Bush. Dando per assodato che dai vostri esordi ad oggi le cose non paiono granché migliorate, ti chiedo quali sono le motivazioni dietro alle quali continui a dare fiducia ad un veicolo come la musica?

Il motivo per cui ho formato i Report Suspicious Activity e la ragione principale per cui gli AoF sono tornati assieme è che sento ci sia ancora un gran bisogno di dire la mia sulla situazione attuale, anche sotto la presidenza Obama. La musica a suo tempo riuscì a penetrare nella mia situazione famigliare conservatrice, mostrandomi la via della coscienza politica. Quindi, considerando quanto le cose stiano andando male, ha perfettamente senso che io trovi la voglia di aprire quella stessa porta ad altri potenziali ascoltatori. Sto ancora lottando, ci vorranno generazioni per ottenere cambiamenti, ma credo ancora in un mondo fondato sulla ragione e la pace. Forse è il mondo che erediterà mia figlia, o forse ci vorranno lei, i miei nipoti ed i figli dei miei nipoti prima di arrivarci… ma sono certo che un giorno o l’altro accadrà.

Diversamente da molti altri tuoi “colleghi” so che hai sempre spaziato molto tra i generi e che uno dei tuoi grandi amori è il soul. Credi ci siano punti di contatto, dal punto di vista ideologico, tra musiche formalmente lontane come il soul o il blues e l’hardcore?

Certamente. Innanzi tutto, è assolutamente vero quel dici, ovvero che non mi è mai piaciuto un solo genere. Anche durante il periodo A.o.F. eravamo soliti ascoltare un sacco di roba differente quando eravamo in van. Molto country, hip hop, soul, addirittura jazz. La vitalità umana e l’esistenza stessa hanno così tante sfaccettature e differenti modi d’espressione che, davvero, perché mai dovresti limitarti focalizzandoti solo su una di esse? Ultimamente ad esempio sono piuttosto in fissa proprio con il blues. E’ una vecchia e sempre valida tradizione: canzoni scritte da gente che ha esternato la contrarietà nei confronti della propria solitudine e tristezza, e spesso contro l’oppressione. Molti hanno cantato queste canzoni, in una miriade di stili differenti… ed io sono ancora qua ad ascoltarli, decenni dopo, in commossa adorazione.

Oggigiorno la canzone di protesta ritieni possieda ancora la dirompente carica primitiva del blues o del country delle origini, o pensi vi siano altri veicoli che l’abbiano in qualche modo messa in ombra?

Probabilmente i blog hanno superato, per impatto e facilità d’accesso, la protest song. Io stesso ne leggo parecchi di stampo prettamente politico; amo Driftglass e James Wolcott, che scrive anche per Vanity Fair. Mi piace la buona prosa, gli articoli politici ben fatti. La cosa fantastica di internet è che non dobbiamo per forza ascoltare gli intellettuali “ufficiali”, quelli sponsorizzati dalle grandi corporazioni. Stiamo assistendo alla nascita di nuove modalità d’espressione… genuina espressione del popolo. Questo non accade solo a sinistra, certo: online ci sono anche fascisti e reazionari. Ovviamente, però, scrivono da cani e abusano in maniera ridicola dei punti esclamativi, quindi non mi sogno neanche di leggerli. E per di più hanno imparato a manipolare l’opinione pubblica. Qua negli States ci sono corporazioni e gruppi di destra che pagano gente per postare idiozie fasciste sui blog politici. Tutti noi dobbiamo quindi stare sempre in allerta per scovare questi “fakers”.

Gail Butensky/Sony Pictures Classics

Ho letto del grande impatto che Clash e Bad Brains hanno avuto su di te. Potresti dirmi qual è stato il processo che da adolescente ti ha portato a contatto con il punk rock?

Essendo cresciuto in una base militare non ho mai ascoltato molta musica da bambino. Non appena divenni teenager e iniziai ad ascoltare rock, dovetti darmi da fare per recuperare il tempo perduto. Il grande rock dei 60’s era finito ed io stavo ancora cercando di scoprire chi fossero i Beatles, gli Stones o gli Who. Era una musica fortemente connessa ad un senso di movimento, comunità – il radicalismo dei sixties e le ribellioni contro l’autorità – ed io feci mio anche quell’aspetto. Era un vero e proprio desiderio di cercare nessi politico/sociali nella musica. Quindi, quando nel ’77 arrivò il punk, mi sembrò sin da subito ciò che faceva per me. Poteva essere la MIA musica ed il MIO movimento. Quando arrivò negli States pian piano mutò, cambiò forma, e così fu l’hardcore a divenire letteralmente il nostro stile, la nostra scena. Per questo motivo era facile per noi passare dai Clash ai Bad Brains: fu un’evoluzione naturale.

In qualità di potenziale padre di una buona fetta di tuoi nuovi ascoltatori, quale credi possa essere la percezione che “le giovani leve” hanno leggendo le vostre gesta dell’epoca o guardando documentari su una scena per mille motivi lontana anni luce da loro?

Oggigiorno è facile che i giovani misinterpretino buona parte di noi che all’epoca eravamo attivi in quel movimento. Quando guardano documentari come American Hardcore ci vedono come un manipolo di vecchi brontoloni che si lamentano del fatto che la musica contemporanea non sia valida quanto quella dei nostri tempi. Ma in verità quello che cerchiamo di dire è che si ha una sola chance di lasciare il proprio segno nella storia della musica e una sola chance, forse, per aggiornare e rinfrescare una lunghissima tradizione di resistenza all’autorità. Se ti limiti ad imitare gli stili ed i gesti ribelli del passato, non farai mai tuo quel movimento, e la causa non farà passi avanti. Dunque uscite allo scoperto, sporcatevi le mani e combattete. Questo è il vero significato di punk rock.

In ultimo lascio la domanda con venature gossip: perché gli Articles Of Faith si sono sciolti ancor prima di pubblicare “In This Life”?

Sono sincero, non ne ricordo il motivo. Avevo già deciso di lasciare la band quando registrammo. Al tempo non stavamo andando in nessuna direzione come band. Io volevo laurearmi. Non ricordo le circostanze che hanno causato un tale ritardo nella pubblicazione del disco; per lo meno adesso è fuori e, chissà, ci sarà gente che lo ascolterà anche tra qualche decade.

Se sopravviverò, sarò uno di quelli. Ciao e grazie, Vic.

 

 

I don’t need no credit rating
Mass production market slaving
I won’t spend my life behaving
To the monopolies

“What we want is free” 1982

Bam! #7.1 - Sometimes records ed altre robe

Lunedì, Marzo 7th, 2011

Sappiamo che dall’ultimo numero di Bam! è passato molto tempo, ma di mezzo ci sono state guerre, carestie, la moria delle vacche e tanti cazzi personali. Ciononostante, siamo vivi, con cervelli e manine in fermento, e questo è solo un aperitivo per ribadire che ve n’è bisogno. Ché di falsa modestia son piene le fosse.

All’interno di questo ciclostile - come l’ha anacronisticamente definito un mio amico - troverete:

- Intervista ad Antonio della Sometimes Records

- Bi-colonna a cura del solipsistico e rancoroso Ron Fuckin’ Swanson

- La Fotoromanza, concorso senza premi che ha visto eccellere Jacopo Besutti con il suo toccante spaccato bergmaniano di una famiglia per bene. Prossimamente verranno pubblicate anche tutte le altre esilaranti versioni.

Di questo bollettino esiste anche la versione cartacea, che sto seminando qua e là nei migliori Autogrill del nord Italia.

Andate e procreate, scaricando, sharando, diffondendo:

CLICKACLICKACLICKA! ===> Bam! #7.1 in pdf

Small talk con… The Young Offenders

Martedì, Novembre 9th, 2010

Come ho già detto, gli Young Offenders hanno dato alle stampe alcune delle canzoni più coinvolgenti, in ambito prettamente punk rock, degli ultimi anni. “Non che ci volesse molto”, potrebbe aggiungere qualcuno a ragion veduta, ma non è questo il punto. Il non più recente e.p. li conferma maestri di euforia e calore, e so che per gli orfani degli Observers queste caratteristiche vogliono dire molto.

Di seguito trovate una breve chiacchierata all’insegna dell’ovvio, in quanto nata appunto come chiacchiera da bar che io vi riporto con fedeltà, poiché, tra le righe, la sorte della band risulta piuttosto incerta. Speriamo che la vita adulta non sprofondi anche loro, come ha fatto con i Fuses, in un insopportabile indefinite freeze.

Considerando che in Italia vi conoscono in 3 gatti, potreste snocciolarci passato, presente e blah blah blah? E’ per il bene dell’umanità.

Esistiamo da 5 anni, ma suoniamo in giro molto raramente, visto che siamo vecchi e pieni di impegni. Sia Tim che Pete hanno due bambini e ti assicuro che è davvero dura trovare il tempo per fare concerti o incontrarci con maggiore frequenza.

Tim negli anni 90, quando abitava ancora in U.K., suonava nei Nerves, poi, arrivato a San Francisco entrò a far parte degli Stockholm Syndrome. Pete ha un passato nei Loudmouths, Jason nei Dolores Haze e Dougie in svariate bands di Belfast. Pete occasionalmente suona con una skate punk band, Johnny and The Dudes. Tim, Jason and Dougie hanno un altro gruppo assieme ad una nostra amica, Laura, e si chiamano Bad Knaves. Ancora zero concerti, ma ti consiglio di tenere le orecchie aperte, perché da un momento all’altro potrebbero esplodere!

Tenendo come punto saldo che ogni vostra canzone è una bomba pazzesca e che non siete certamente iperprolifici, quanto dovremo aspettare per godere di una vostra prossima uscita?

Hey, non metterci fretta, il disco nuovo è appena stato sfornato! Non ho idea di quando registreremo qualcos’altro; le cose diciamo che sono un po’ in pausa, per far sì che Pete ci salti fuori con i suoi turni di lavoro. Dobbiamo pubblicare un 7” per l’etichetta inglese Static Shock… speriamo entro la fine dell’anno.

Avete avuto esperienze positive con le varie etichette con cui avete lavorato?

Il rapporto con la Deranged è stato grandioso. Gord in persona ci ha voluto sulla sua etichetta; ha esaudito ogni nostro desiderio, ascoltandoci al 100% e impegnandosi affinché tutto venisse come desideravamo! Non potevamo chiedere di meglio. Parts Unknown invece è una label più piccol e un po’ meno organizzata, per cui c’è voluto più tempo a far uscire il primo 7”. Rich comunque è un gran bravo ragazzo. Prossimamente la Dirtnap pubblicherà un nostro 7”: Ken è nostro amico e non vediamo l’ora che anche questa cosa si concretizzi!

http://www.myspace.com/youngoffendersmusic

Fogna - S/t - CD e.p.

Giovedì, Maggio 6th, 2010

(Vom) Capita talvolta che questa cloaca maxima chiamata Italia nasconda tesori inaspettati. Come un sentiero remoto battuto da pochi, così l’e.p. dei Fogna svetta nel panorama odierno con la sua brutale carica ansiogena. Quando ormai disperavo di trovare un gruppo hardcore/d-beat nostrano che non fosse  la parodia della parodia di una pagliacciata, attraverso la californiana Bat Shit mi sono imbattuto in questi due ragazzi siciliani. Mai sia che alle voci originali sia dato il giusto tributo in patria, ci vuole una etichetta  americana a sbatterci sotto il naso i talenti e farci vergognare della nostra cecità.
Chitarra, voce, basso e drum machine, quest’ultima ingrediente salvifico che conferisce marzialità anni 80 al loro hardcore di scuola vecchissima. Il rantolo amplificato snocciola immagini evocanti caos, suicidio, follia. Rabbia come un ruggito, contro l’ipocrisia di Stato e Chiesa (con la c minuscola e Maiuscola). Screams from the gutter, anche se i “vampiri sociali” si tapperanno le orecchie. Il post punk crepuscolare dei Christian Death – la cui eco è ben udibile nell’intro e nell’outro - ha figliato con l’urgenza dei 5° Braccio, Stinky Rats ed Eu’s Arse.  Seppure le coordinate siano differenti, grazie ad alcuni stacchi perentori e all’enfatico salmodiare, alla mente torna anche quel capolavoro che è il 12” ‘Crisi di valori/Nazioni” dei Disciplinatha.
L’e.p. è stato stampato in cd (300 copie) che potete/dovete ordinare inviando 1 euro ai contatti che troverete in fondo a questo articolo. La Bat Shit si sta preoccupando di pubblicare questo bel dischetto su di un formato più consono, ovvero un bel vinile 7”.

Ho chiesto a Pio – chitarra e drum machine – di farmi una breve cronistoria della band. Ecco a voi quello che ha da dirvi:

Il progetto nasce nel 2004-2005 da una mia idea di suonare punkhardcore marcio, con atmosfere un po’ oscure, un po’ noise. A Siracusa non c’è una scena punkhardcore, quindi è impossibile trovare gente; fortunatamente nel 2004-2005 mi sono trasferito a Palermo per l’università ed ho conosciuto Elio, anche lui lì per motivi di studio, e proveniente da Mazara del Vallo, città come Siracusa totalmente priva di scena; Elio, proprio come me, è un grande ascoltatore di musica d’ogni genere, ma con una predilezione per l’ambito metal, postpunk e hardcore.
Gli feci ascoltare i pezzi e, con molta lentezza li registrammo, a causa di impegni e rotture di cazzo varie, tanto che l’e.p. è uscito nel 2009, ma i pezzi risalgono a 4 anni prima. Eheheh!
La scelta di utilizzare la drum-machine è dovuta sia alla necessità di sbrigarci, sia perché ad un certo punto, ormai abituati a quel suono, ci venne a piacere. Le musiche le compongo tutte io, mentre dei testi se ne occupa il primo di noi che ha qualcosa da dire. Nell’e.p. “Merda come l’oro” ha un testo mio, mentre “Insonnia”,”Carcasse senza testa” e “Brucia tutto intorno” sono testi di Elio! Abbiamo registrato con un 4 piste a cassetta, e tutti i prossimi lavori saranno fatti così; abbiamo già molti altri brani pronti, almeno per altri due o tre e.p. In questi giorni stiamo iniziando a registrare il nuovo e.p. dal titolo “Lo specchio della morte”. La batteria stavolta sarà vera, suonata da un mio amico siracusano che, nonostante non suoni punkhardcore, a d-beat non è messo niente male! Per quanto riguarda Onehundredirty records, è il nome che diamo e daremo alle produzioni nostre ma non solo: dischi autoprodotti, con sound marcio e registrazioni tendenti al lo-fi trikki trakki e bombe a mano. Prima o poi farò un sito per ‘sta etichetta!

Io ed Elio abbiamo anche un altro progetto insieme, chiamato Jealousy For The Dead, improntato sul death rock postpunk, dark etc. etc, sempre drum machine(stavolta voluta), chitarra e basso! Non abbiamo ancora un Myspace. Presto inizieremo un altro progetto parallelo… blackmetal lofi antitecnico, eheheh.

Altri nostri progetti:

Elio: Psycopath Witch (black/death metal - http://www.myspace.com/psycopathwitch) e Vermaio (grind, sperimentale, onemanbandproject)

Pio: Junekills (rock,postpunk,noise, onemanband); Snakesambassador (http://www.myspace.com/snakesambassador), in cui suono la batteria e quel che capita (rock acido, e quello che ci salta per la mente); un altro progetto onemanband deathrock postpunk che ancora non ha nome ma solo brani.

Contatti:

http://www.myspace.com/fognahc

DEAD MELLOTRON

Martedì, Aprile 6th, 2010

(Vom) Quello che state per leggere è un cattivo esempio. Da non seguire. Da evitare. Da tenere a mente.
Per motivi ancora oscuri mi ero dato come obiettivo di approcciare Josh, personaggio che tradotto in musica si fa chiamare Dead Mellotron. Il suo primo e.p. era rimasto per mesi in circolo nella mia corteccia uditiva primaria; in preda a deliri pissichedelici ero ostaggio di un incanto olografico in cui il nostro doveva necessariamente essere un affabile e talentuoso artista perso nella sua autistica costellazione di riverberi. Non poteva essere altrimenti. Al bando le malelingue. Il delay non può mentire. Ecco quindi come ho deciso di discutere con lui di questa sua creatura, incurante del fatto che l’ometto in questione si dicesse essere simpatico e scostante quanto il figlio adottivo di Mengele e Marc Dutroux (che, ora che ci penso, protrebbe effettivamente essere una sagoma mica da ridere). E ancor più incurante della pressocché totale assenza di curiosità – da parte mia - di conoscere vita, morte e miracoli di Dead Mellotron. Lo ammetto, avrei potuto farmi bastare la musica, ma l’ignoto mi intriga. Io sono partito mal disposto e con l’ispirazione sotto i piedi. Josh ci ha dato dentro con affabilità pari a zero, grammatica e costrutti che avrebbero messo in ginocchio anche gli agenti del KGB, latitanza ed altre cose che belle non sono. Ma in fondo, come ho già detto sopra, la colpa è mia, come quando ci si incaponisce nel voler uscire con la più bella del reame, sebbene con ella non si abbia nulla in comune. Il coraggio è ammettere l’errore e scaricarla sul più bello. Per questo motivo la qui presente intervista è monca, mozza, zoppa. Ho staccato la spina.

Scrivo queste righe dopo avere ascoltato incessantemente il suo nuovo album, omonimo. Qual beltade!
All’epoca la sorte di questo lavoro doveva essere ben altra. Un’etichetta avrebbe dovuto pubblicarlo, ma è notizia recente che l’accordo è sfumato. Prevedibilmente, mi viene da aggiungere. Josh, in un primo momento lo mise scaricabile direttamente dalla sua pagina di Myspace, come fece con il precedente e.p. Ora però ha cancellato il file, in preda a chissà quali manie perfezioniste o deliri antisociali.

Questa intervista, colma di contraddizioni, è per coloro che hanno avuto la fortuna di godere di entrambi i dischi immateriali di Dead Mellotron, ora come ora una delle più lussuriose realtà retro pop proveniente dagli USA, con lo sguardo fisso su sostanze psicotrope made in U.K.

Scusate. E scusa anche tu, Josh.

Sono passati diversi mesi dalla pubblicazione di “Ghost Light Constellation”. Ora so che stai lavorando al suo successore, ma intanto ti chiedo come hai vissuto il responso da parte di critica e pubblico. Mi risulta che tu sia rimasto infastidito da alcune considerazioni pubblicate in rete.

Molti hanno ipotizzato che quella non fosse altro che una merdosa raccolta di canzoni, assemblata da un tizio qualunque nella sua camera da letto e regalata in maniera patetica a chiunque la desiderasse. Bè, quelle persone avevano ragione. Non credo che l’essenza del disco sia stata colta da tutti. Non è affatto un’opera umile; è autoreferenziale, completamente intrisa della mia personalità.

Tenendo conto di ciò, avevi pensato che molte persone ne sarebbero rimaste così fortemente affascinate?

Sinceramente no, non mi aspettavo affatto che qualcuno avrebbe potuto prestare così tanta attenzione a questo e.p. Okay, è bello che sia stato accolto così bene, ma ormai è notizia vecchia.

Prima di parlare del tuo recente passato, potresti dirci qualcosa riguardo il prossimo album?

A questo giro desideravo pubblicare qualcosa di veramente meritevole, e sarebbe dovuto uscire proprio oggi… ma ancora non è pronto. Continuo a modificare gli arrangiamenti, perché sono l’aspetto che più mi interessa. Alcune canzoni sono molto poppettose ed è molto difficile lavorarci senza far sembrare il tutto eccessivamente premeditato e calligrafico. Come se non bastasse, la cesellatura delle canzoni più pop rischia di far passare il messaggio che il resto dell’album sia meno curato. Ogni elemento dell’album, invece, ha un suo senso, un suo perché. L’insieme contribuisce a suscitare determinate emozioni. Allegria, nostalgia, pietà o quel che vuoi tu. Dovrebbe sempre essere così, anche se raramente capita.

Quante etichette si sono dimostrate interessate alla pubblicazione del tuo nuovo lavoro? Ho letto che Fla Records editerà “Ghost Light Constellation” in vinile e SVC si occuperà dell’album. Dico bene?

Già ai tempi della pubblicazione on-line del primo e.p. mi contattarono un sacco di labels. Avrei dovuto lavorare con la SVC per un po’ di uscite, ma alla fine non se ne è fatto nulla. E’ probabile che rimanga con la FLA per tutte le mie future pubblicazioni su supporto fisico! James è dannatamente pieno di passione per tutto ciò pubblica, ed è bello lavorare con gente del genere. (In verità, ad oggi, l’e.p. non è stato ristampato, anzi, è addirittura scomparso il nome Dead Mellotron tra le future uscite FLA; inoltre la stessa SVC ha annunciato con rammarico che non pubblicherà questo suo ultimo disco. N.d.r.)


Dici che la tua maggiore influenza è l’apatia, termine il cui etimo stona decisamente con le tue accorate registrazioni. Come è nato questo tuo amore?

Mi sono sempre gettato a capofitto dentro a qualsiasi cosa mi appassionasse. Non amo essere spettatore. Tutta la roba Dead Mellotron fin dall’inizio è nata in maniera realmente casuale e senza grandi intenti concettuali. Non mi sono sforzato fino allo stremo per curare il songwriting o la produzione. Credo che al tempo nient’altro sarebbe potuto essere più onesto ed verace. Mi chiedi da cosa tutto ciò sia nato? Soprattutto da una manciata di merdosi riff di chitarra, buttati lì alla maniera dell’usa-e-getta.

Di solito mi intriga sapere se in qualche modo la provenienza geografica di un determinato artista abbia in qualche modo a che fare con la direzione verso cui tende. Quanto c’è della città in cui sei cresciuto nelle tue canzoni?

Il luogo in cui vivo non riesce ad evocarmi il benché minimo desiderio di fare qualcosa. E’ una città di merda, decisamente brutta, culturalmente scialba. Quindi direi che Dallas non ha nulla a che fare con il progetto Dead Mellotron.

Quanto del tuo tempo libero è dedicato alla musica? Il fatto di essere cervello e muscoli dietro al progetto Dead Mellotron non rende complicata la gestione di ogni singolo aspetto?

La cosa che preferisco del registrare da solo è che ho il controllo totale su qualsiasi cosa. Non mi piace avere a che fare con le idee mediocri di qualcun altro. Mi toglierebbe del tutto il divertimento,
dovere valutare il contributo di ogni membro del gruppo, cercando di mantenere sempre un certo livello qualitativo. Non amo i compromessi. So esattamente cosa voglio, quindi le mie intuizioni sono le uniche a contare. Registrazione e arrangiamenti di ogni singolo brano sono tutti opera mia. Nessun altro è coinvolto. O meglio, qualcuno c’è, ma il suo apporto è sempre indiretto.

Va bene. Basta così. Ascoltate la musica e più non dimandate.

http://www.myspace.com/deeeadmellotron

Intervista a ZOLA JESUS

Venerdì, Dicembre 19th, 2008

Era il 2 agosto, alle 2.30 circa del mattino.
Mi trovavo a Tokyo, sul balcone del mio hotel nel quartiere di Asakusa, esattamente di fronte ad un parco giochi. Era stata una giornata terribilmente afosa, nonostante un’incessante pioggerellina. Poco prima di andare a letto, stordito dalla melensa malinconia che emanavano le giostre spente e coperte da teloni, ho preso ad ascoltare “Poor sons” di Zola Jesus.
Quel 7″, assieme a “Soeur Sewer”, per me avrà sempre il sapore di quell’abbandono. Zola Jesus è uno scheletro gotico, fatto di barcollanti trame sintetiche, scricchiolii elettronici e voci che rompono la quiete.
Madre di queste canzoni è Nika, una ragazza di Madison che ha aggiunto nuove e più vivide sfumature ad una scena oltre-punk americana in cui, da un anno a questa parte, hanno capeggiato Blank Dogs e Pink Reason.
Ho chiacchierato a lungo con l’adorabile Nika la quale, come leggerete, ha confermato l’aura ansiogena di cui trasuda la sua meravigliosa musica.
introduzione ed intervista di Vom
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Essendo Zola Jesus un progetto eminentemente solista ed intimo, mi chiedo quale sia il tuo stato d’animo quando ti appresti a comporre una canzone. E’ un processo doloroso?

Soprattutto a causa del rapporto che ho con la mia voce, è sempre stata un’esperienza simile alla tortura. Il processo di scrittura di un brano solitamente dura un paio di settimane… ma a volte anche mesi. La mia produzione è molto tesa a causa di tutte le mie ansie: credo sia questa la fonte di tutta la tensione che ritrovi nella mia musica. I miei brani sono sempre incentrati su temi quali l’alienazione, la vulnerabilità, la corruzione, e, più vividamente, la poetica dell’Apocalisse. In ogni mia canzone indugio sempre su questo aspetto… anche se il mio stile compositivo è vario, credo che sia questa caratteristica “essenziale”, innata, a tenere assieme tutto il mio operato.


L’intensità e l’immenso charme dei tuoi brani mi hanno colpito quasi come fossero demo inediti di Nico. Mi sapresti dire in cosa consiste uno show di Zola Jesus? E’ più vigoroso e distorto rispetto ai due 7” che ho ascoltato, considerando anche che durante i concerti sei accompagnata da Dead Luke?

Un mio live consiste in un’incredibile backing band, prima di tutto. Sono veramente dei musicisti eccezionali e credo che in parte sia decisamente merito loro se un mio concerto risulta essere così particolare. Dead Luke suona il synth, mio fratello Max Elliott (ora nuovo acquisto della famiglia Sacred Bones) suona un tom, mentre la mia amica Lindsay Mikkola, una contrabassista con studi classici, ha iniziato a suonare il basso elettrico proprio con Zola Jesus. Lindsay ed io ci siamo conosciute tramite Kevin / Pink Reason, con il quale ha suonato in passato. I miei concerti si differenziano molto dalle registrazioni. Le canzoni, durante un nostro live set, hanno una struttura molto libera, quindi c’è molto spazio per l’improvvisazione estemporanea. Adoro suonare dal vivo perché mi permette davvero di sperimentare e giocare in maniera stramba con la mia voce. E’ un momento oltremodo intenso e catartico per me.

Poco fa hai detto che “Soeur Sewer” ti ha introdotto alla corte della Sacred Bones. Come hanno scoperto la tua musica? E per quanto riguarda la Die Stasi?

Ho conosciuto la Sacred Bones grazie a Dead Luke e mi sono innamorata delle sue uscite. Era come fosse l’etichetta dei miei sogni, quindi, quando mi ha approcciato offrendosi di pubblicarmi un 7”, ero euforica. Die Stasi mi ha contattato nello stesso periodo, e da subito mi sono sentita molto vicina alla filosofia di Lane ed ero assai eccitata di lavorare anche con lui. Sono stata fortunata a lavorare con persone così genuine e piene di passione.


Hai detto di aver studiato lirica per 10 anni: qualcuno degli insegnamenti di quegli anni accademici è tuttora riscontrabile nella tua musica?

Non sono mai riuscita ad accettare uno studio canonico. Quand’ero giovane, il mio insegnante di canto mi insegnava ad utilizzare la voce in un modo che per me non aveva senso, così dovevo inventarmi un metodo tutto mio. Ciò mi ha dato l’opportunità di utilizzare strani metodi, quasi avant-garde. Comunque la mia voce è quella che senti per via del mio passato classico: è una voce allenata. Ho provato a cambiarla ma ormai ho imparato a conviverci. Avere un background operistico mi permette di tentare soluzioni astratte con la voce, proprio perché ne conosco la “scienza”. A volte devo manipolare il mio corpo per ottenere una certa sonorità: la voce non è solo uno strumento, ma anche un muscolo. E’ un dualismo che incoraggia la sperimentazione.

Come manipoli la tua voce durante le registrazioni?

La voce è uno strumento intrinseco, molto dinamico. Un sacco di artisti, oggigiorno, la considerano secondaria rispetto alla musica. Io invece la penso esattamente all’opposto. La voce contiene un certo potere con il quale amo fare esperimenti, ma, allo stesso tempo, mi piace trattarla come un qualsiasi altro strumento. Farla passare attraverso un distorsore e darle del riverbero, così da elemento umano la trasformo in giocattolo elettronico. Nel corso dei miei studi personali sto cercando di suonare con la voce ed imparare a renderla elettrica senza alcun filtro esterno. Sarebbe l’ideale.


Come sei arrivata, con un background di musica classica, al genere di musica sperimentale che ora proponi sotto il nome Zola Jesus?

Sono cresciuta ascoltando post punk e no wave. Mio fratello è stato una grande influenza. Mi ha introdotto ai Residents, Diamanda Galas, Lydia Lunch e così via. Quella musica è la mia passione. C’è però una parte di me che apprezza anche le belle canzoni pop: tutti sono sensibili alla melodia. Quando ascolti una certa progressione di accordi che ti colpiscono, stanno lì le fondamenta della passione. “Maybe” delle Chantels, ad esempio… quella è una canzone che ti schiaffeggia con la melodia. Ora, il mio obiettivo è fondere le Chantels con Meredith Monk.


Hai appena citato le Chantels, quindi ti chiedo se ti piace qualche altro gruppo femminile dei sixties. Penso che in quegli anni, oltre ai capolavori garage, soul e jingle jangle, le all-female band abbiano contribuito a diffondere alcune delle migliori e più contagiose armonie della storia della musica. Basti pensare alle hit di Crystals, Shirelles, Angels e così via.

Oh, senza dubbio. L’intera era delle girl group è stata un vero fenomeno, dietro al quale però credo ci siano delle zone d’ombra, soprattutto per quanto concerne Phil Spector e la sfilza di giri loschi dietro ogni hit su Billboard… ma allo stesso tempo, queste ragazze rappresentarono una specie di liberazione femminista. Prima di quel periodo le donne nell’ambiente musicale raramente erano state considerate seriamente. Amo le Ronettes, le Shangri-La’s, le Supremes ed anche le Shaggs. Oh, e anche tutta la sfilza di Yeh-Yeh ladies francesi, sempre degli anni 60.

Pensi che essere una ragazza in qualche modo condizioni il modo in cui i tuoi ascoltatori si avvicinano alla tua musica?

Non ne sono sicura, ma presumo di sì. Trovarsi in una scena “maschio-centrica” è sempre molto difficile per una donna. Alcune persone apprezzano la musica proprio per la sua femminilità, ma talvolta questa cosa ci si ritorce contro. E’ molto difficile anche essere una ragazza all’interno della scena “punk” e non cantare in maniera tipicamente punk. E’ una comunità molto mascolina, quindi a volte è dura relazionarsi con l’audience.

C’è qualche artista femminile che ammiri particolarmente?

Mi piacciono moltissimo Diamanda Galas, Meredith Monk, Brigitte Fontaine, Kate Bush, Lydia Lunch… Proprio la notte scorsa ho suonato con Grouper e mi ha letteralmente sconvolto. Ammiro il suo lavoro.

Sul tuo Myspace è possibile ascoltare un incantevole brano intitolato “Sea talk”. Verrà pubblicato presto? Puoi parlarmi delle uscite future di Zola Jesus?

“Sea Talk” sarà sul mio prossimo 12” su Tsar Bomba che uscirà per Troubleman Unlimited. Appena pubblicato inizierò a lavorare al mio album che dovrebbe vedere la luce nella seconda metà del 2009. Sto lavorando anche ad una cassetta assieme a Dead Luke, su Night People. Le canzoni che abbiamo registrato per questa release sono davvero fenomenali: Dead Luke è un musicista pieno di talento. Tra i miei piani a breve c’è anche una collaborazione con la Not Not Fun (etichetta che ha fatto uscire dischi di Pocahaunted, Ex Cocaine e tra poco anche Abe Vigoda. N.d.r.) Un sacco di roba, insomma! E’ un periodo molto eccitante.

Da dove viene il nome Zola Jesus? Zola ha qualcosa a che fare con lo scrittore francese? Scusa la domanda idiota, ma mia madre mi ha chiamato Emiliano proprio “in onore” ad Émile Zola. Eheheh.

Ci hai preso in pieno. Ricordo proprio l’istante preciso in cui lo scelsi. Era circa 6 anni fa. Mi trovavo in una libreria nella Dinkytown a Minneapolis. Era stupenda: c’erano libri ovunque e sembrava un labirinto. Stavo scartabellando tra i libri francesi e scoprii Zola per la prima volta. “Nana”, credo che fosse. Lo adorai. Alle superiori dicevo ai miei coetanei di chiamarmi Zola Jesus con la speranza di scioccarli, così che non avrebbero più cercato di parlare con me. Ottenni il risultato sperato e riuscii a fuggire da quel posto sana e salva.


Un’ultima cosa che probabilmente non ha nulla a che fare con la tua musica: qual è la tua opinione sulla recente elezione di Obama? Credi che qualcosa possa realmente cambiare in meglio, quantomeno a livello locale negli Stati Uniti?

Bè, ad essere sincera la politica mi provoca disgusto. Me ne interesso molto poco e non sopporto come viene esposta dai media. Detto questo, però, sono andata a votare. Sentivo che molto probabilmente sarebbe stata l’elezione più importante nella quale sarei mai stata coinvolta. Credo che le cose non cambieranno per un lungo tempo, dato che Obama ha un bel po’ di pulizia da fare. Non dubito però che il suo carisma possa dare almeno un po’ di sollievo al mondo intero.

Contatti:

http://www.myspace.com/zolajesus

http://www.sacredbonesrecords.com

http://www.myspace.com/diestasi

http://wnyu.org/2008-12-17_makeproduct
(Zola Jesus ospite a WNYO Radio: intervista, successiva a quella fatta da me, e molte canzoni ancora inedite)

Leggi ed ascolta anche Vomitory!

PULSE OUT, da Manhattan Beach con calore

Sabato, Novembre 15th, 2008

(Vom) Una sola canzone e SBADABAM!… passano due ore e ci si rende conto, con il sorriso tra le labbra, che è sempre lo stesso album a girare incessantemente. I Pulse Out, fresco gruppo californiano, sono giunti in un momento in cui avevo bisogno di una culla sonora, una forza melodiosa che mi trattenesse dal commettere omicidi di massa. Giuro sul vostro dio preferito che, dal primo ascolto del loro demo, le mie mani non si sono ancora sporcate di sangue e per questo devo rendere grazie a questi quattro ragazzi e alla seconda traccia del cd, “Girls Give Girls A Bad Name”, che si canta così come si recita “Tre Tigri Contro Tre Tigri”. L’emisfero australe fa spesso capolino in queste nove tracce, ora vestito da ingenuità da indigeno, ora con giacca di pelle ornata di spille dei Toy Love e degli Hummingbirds (recuperate il loro “LoveBUZZ”, se vi volete bene). Il sapore è aspro e zuccherino come il succo troppo poco decantato degli Oranges Band.

Quello che importa è che una piccola opera del genere possa essere capace di provocare sbandate che monopolizzano stereo e fischiettii sotto alla doccia. Non importa gridare al miracolo, al genio, all’originalità, perché probabilmente in questo CD non troverete altro che venti minuti scarsi di piacevolezza. E di questi tempi, vi assicuro, male certo non fa. “It’s gonna be a beautiful day”. Ci credo poco, ma sotto sotto ci spero.

La chiacchierata itinerante con Jeff è stata fatta tra Manhattan Beach, Copenhagen e Uppsala, in Svezia.

Pulse Out

Da sinistra a destra: Miles (basso), Eric (batteria), Jeff (chitarra), Nima (vocals)

www.myspace.com/pulseout

Una preghiera scontata ma doverosa, essendo la vostra band molto giovane: introduci ai nostri lettori i Pulse Out.

Nima ed io abbiamo iniziato a suonare assieme lo scorso inverno, attorno al 31 dicembre. Ci conosciamo dai tempi delle superiori ed era da tempo che parlavamo di mettere su un gruppo. Lui cantava nei China Room, un gruppo che credo potresti definire “indie”. Io cazzeggiavo con varie hardcore bands, ma iniziavo ad annoiarmi. I Pulse Out non sono altro che il nostro tentativo di trovare un punto d’incontro.

Dopo avere ascoltato per due ore, ininterrottamente, il vostro disco, ti chiedo quanto tempo dovremo aspettare prima che esca un vostro prodotto ufficiale: un 7”, un album, le action figures? Qualche etichetta si è già fatta avanti?

No, non abbiamo avuto alcun contatto con etichette e sinceramente non so ancora bene quali siano i nostri piani a tale riguardo. Sono piuttosto ossessionato dal nostro song writing, dall’aspetto grafico e tutto ciò che ruota attorno a questo “progetto”. Pensavo di fondare un’etichetta per pubblicare la nostra roba… staremo a vedere. Dal mio punto di vista ritengo questo demo-cd una vera e propria “release”. Non avevamo le risorse per partorire un disco “ben prodotto”, ma ti assicuro che abbiamo dedicato moltissimi sforzi all’intero processo creativo. E comunque, perché preoccuparsi di firmare per una label o crearne una ex novo, quando molto semplicemente possiamo masterizzare i nostri CD e distribuirli come più ci pare?

L’aspetto che più mi ha colpito delle vostre canzoni è l’energia unita ad una delicatezza di fondo. Non siete molto distanti da alcuni lavori dei Go Betweens e l’atmosfera generale del disco ricorda alla lontana gli Hüsker Dü acustici e certe registrazioni casalinghe di Roky Erickson. Qual è il tuo rapporto con il lato meno distorto del pianeta rock?

Wow, ci hai accosti a nomi niente male! Gli Hüsker Dü sono in assoluto una delle mie band preferite, tanto che “Zen arcade” è stato uno dei pochi album che ho fatto ascoltare a Nima poco prima che iniziassimo a scrivere dei pezzi. Ovviamente però non siamo al loro livello! Tecnicamente parlando, usiamo chitarre elettriche, quindi non possiamo definirci “acustici”, anche se tendiamo a suonare abbastanza puliti. Il punk è stato il mio primo amore, ma, con l’eccezione di poche band, è soprattutto nelle sue filiazioni più periferiche che trovo un valore durevole nel tempo. Il proto-punk dei Velvet Underground e Modern Lovers, vari gruppi etichettati “post-punk”, e un sacco di gruppi power pop di metà anni 80, quasi sempre sottovalutati: questo è quello che più mi emoziona. Inoltre sono decisamente ossessionato dal “kiwi pop” (Spulciate il catalogo della neozelandese Flying Nun records, per farvi un’idea. N.d.Vom), gruppi come i The Clean, ad esempio, che mixano nel migliore dei modi possibili i generi che ho poc’anzi elencato.

Quando mi hai contattato per la prima volta mi dicesti che qualcuno vi aveva paragonato ai primi Wipers. Ok, i gusti e le opinioni sono estremamente personali, ma, tra le altre cose, mi pare che i Pulse Out siano molto più “solari” di qualsiasi cosa che Greg Sage abbia mai scritto in vita sua.

Ahahah, bè, sì. Un mio caro amico disse che gli ricordavamo i primi Wipers. Non so se sia vero, ma lo considero un complimento immenso! Se ascolti più attentamente le nostri canzoni ti accorgerai che non sono solari come pensi. Hanno a che fare principalmente con i dualismi della vita, e soprattutto le ragazze: ossessioni, amore, batticuore, cuori rotti, ansia… Ci sono brani che solo superficialmente suonano come semplici canzoni d’amore, ma, se le analizzi a fondo, realizzerai che sono frutto di sentimenti superintricati! Puoi testare ciò che ti ho detto ascoltando alcuni pezzi dei Violent Femmes, ad esempio. A questo punto potrei anche iniziare a spiegarti quanto mi piaccia il “twee pop”. Pensi dovrei vergognarmene? Ahahah!

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Assolutamente no: anche io sono un fan sfegatato di Softies, Beat Happening e compagnia bella. Va bene, ora cambiamo rotta. Voi venite dalla California, madre di alcune delle prime e più importanti band hardcore di tutti i tempi. In “Deep in every shadow” è evidente una notevole accelerazione rispetto alle altre canzoni del vostro disco, ti chiedo quindi se la parola hardcore è menzionata nel tuo curriculum vitae?

Bella domanda. Siamo cresciuti tutti nella baia a sud di Los Angeles. La SST aveva la propria sede proprio da quelle parti ed è la zona da cui venivano Black Flag, Minutemen, Descendents, Red Cross (più tardi Redd Kross), Last e molti altri. Sono certo che, anche se avessi iniziato a suonare con un progetto folk acustico, quei gruppi sarebbero in qualche modo riusciti ad avere una notevole influenza su di me! Appena fondati i Pulse Out, il nostro piano era quello di mettere in piedi una punk rock band tout court, e poi, con il passare del tempo, farla evolvere in qualcosa di maggiormente complesso, un po’ come fecero i Red Cross. Alla fine però ci siamo naturalmente avvicinati a sonorità più melodiche e ricche d’atmosfera. “Deep In Every Shadow” è in pratica l’unico scampolo rimasto della prima versione dei Pulse Out. Il tempo della batteria l’abbiamo preso in prestito da una canzone dei Black Flag.

Negli ultimi anni sempre più gruppi punk/garage sono apertamente influenzati dal post punk: sembra che la no wave e la new wave non sia più un taboo, anzi… Sempre più, tra le influenze, compaiono nomi come Scritti Politti ed XTC, ad esempio, cosa che negli anni 90 sarebbe stata liquidata con un beffardo “arty = farty”. Credi che ci sia una sorta di rinascimento punk, un ampliamento degli orizzonti musicali nella scena oppure sono io che enfatizzo il tutto ed ho una percezione alterata?

Questa domanda è bella tosta e non credo di essere la persona più adatta a dare una risposta. Vedo però che qui negli States molte band influenzate dal punk stanno guadagnando un largo seguito anche al di fuori del circuito strettamente underground, ad esempio No Age e Jay Reatard, ma non so se ciò significhi necessariamente che gli hardcorers/punks siano più aperti nei confronti di altri generi musicali. Senza dubbio ora i fans dell’indie rock sono maggiormente attratti dal punk rock rispetto a tempo fa, ma non chiedermene il motivo. Piuttosto ci terrei a far notare una cosa molto strana, ovvero che i punk hanno sempre ascoltato musica molto differente da quella che erano soliti creare: Joey Ramone era fanatico del 60’s pop (anche se in effetti ciò è riscontrabile nelle melodie dei Ramones), Johnny Rotten era un esteta e le sue influenze jazz e reggae divennero palesi con i PIL, Greg Ginn amava i Grateful Dead! In fondo penso che il punk rock sia di dominio dei soli adolescenti e si sa che loro sono sempre i più dogmatici.

George Pringle è sicuramente molto bella, ma come mai le avete addirittura dedicato una canzone, “George Pringle, I Love You, But You’re Bringing Me Down”? E’ famosa negli U.S.A.?

Ahahah, famosa? No, qui non è famosa né lei né la nostra canzone. Non so nemmeno se i nostri amici sappiano chi sia… è probabile che pensino sia un personaggio inventato! L’ho ascoltata per la prima volta un anno fa e mi colpì molto la sua musica ed i suoi bellissimi testi. All’epoca non avevo idea di che aspetto avesse ed inoltre “possedevo” un suo solo mp3. Ascoltando alcune sue canzoni puoi capire quanto sia intelligente, introspettiva ed anche intelligente. Quando poi vidi delle sue foto on-line scoprii che è anche bella da togliere il fiato. Dalla mia prospettiva lei è “la ragazza perfetta”. La canzone che le ho dedicato fondamentalmente esprime la mia adorazione per lei, ma lamento anche l’idea che conoscerla meglio forse me la farebbe amare di meno. E’ un’illusione di perfezione! Avevo pensato di spedirle la canzone ma la cosa mi spaventa…

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Qual è stata la molla che ha fatto nascere in te la voglia di dedicarti alla musica e non, ad esempio, al backgammon o al bungee jumping?

Ho iniziato a suonare la chitarra a 12 anni, ma non sono neanche lontanamente bravo quanto vorrei. Non sono mai stato come quei ragazzi che stanno seduti per ore a cercare di imparare un assolo o che passano pomeriggi a fare jam. Implorai i miei genitori di regalarmi una chitarra a Natale, e praticamente fondai una band non appena scoprii come pizzicare le corde. I power chords arrivarono più tardi e sto ancora cercando di capire come si fanno gli accordi in tonalità maggiore. I Green Day sono stati il gruppo che mi ha fatto venire voglia di suonare la chitarra. Era l’estate/autunno del 1994, avevo 11 anni, non avevo ancora avuto alcun contatto con la cosiddetta “musica indipendente”, “Dookie” era appena uscito… Quando vidi quei video su MTV (credo che il primo sia stato “Longview”) diventai matto. Quello fu il mio ingresso nel mondo del punk rock. Nel giro di un anno alcuni ragazzi più grandi di me mi portarono in un negozio dalle parti del quartiere in cui vivevo. Comprai “New day rising” degli Hüsker Dü in vinile (un mio amico prese “Zen arcade”, così potevamo scambiarceli) ed un cd del primo disco dei Pennywise ad un dollaro. Cominciò tutto così.

Credi che senza i “problemi” derivanti dall’universo femminile, di cui hai parlato poco fa, la vostra musica sarebbe differente?

Ci sono un mucchio di cose che mi ispirano: a volte ho un concetto che voglio trasporre in canzone, altre volte ho solo una melodia o una frase attorno alla quale costruisco un brano. Scrivo le canzoni come se fossero una conversazione con il pubblico. Mi piace che ci sia confronto e scambio di idee, ed è per questo che le interviste possono essere anche così belle. Non ho voglia di suonare in una band politica e cantare “Pensa così, fai colà!”. Paradossalmente sono molto più ispirato da libri, film ed arte, piuttosto che dalla musica. “Ask the dust” di Fante è il mio libro preferito e credo tu possa trovare molti punti in comune tra i Pulse Out ed il suo stile. Comunque, vabbè, tornando a bomba alla domanda, sì, se non avessimo avuto così tanti problemi con le ragazze, i Pulse Out sarebbero stati molto diversi.

Suonate spesso dal vivo?

Siamo una band giovane ma cerchiamo di suonare il più possibile. Appena tornerò a casa (all’epoca si trovava in Svezia N.d.Vom) mi aspettano vari show in sud California. Stiamo pianificando dei weekend tours per quest’inverno, e ci piacerebbe fare un tour molto più esteso in primavera. Nima ed io suoniamo molto per strada, in versione acustica. Mi diverte molto perché, come ti dicevo prima, è un dialogo aperto con gli spettatori.

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C’è qualche band che ti senti di raccomandarci?

Gli Ofersures ed i Pistol Pistol, della nostra stessa zona, sono entrambi grandi band. Stili molto differenti, ma che comunque ben si amalgamano tra di loro.

Vorrei concludere questa nostra chiacchierata parlando di pop, visto che tu ne sei un grande estimatore! Ti sei avvicinato al pop negli ultimi anni oppure ne sei sempre andato ghiotto? Negli ultimi due numeri di Bam! abbiamo intervistato band come The Go, Buddy Love, Rubinoos, Incredible Kidda Band, ecc. Quali sono i tuoi gruppi power pop preferiti?

Emi, queste domande sono vastissime!!! Credo che nel mio cuore ci sia sempre stato spazio per il pop. “Pop” però è un termine così pieno di sfaccettature… per quanto riguarda il power pop, lo amo nella sua interezza! Amo in particola modo la prima ondata di punk band con una marcata vena pop, come Buzzcocks, Boys ed Undertones. Da circa un annetto invece mi sono avvicinato di più alle cose di metà anni 80. Tra i miei preferiti ci sono i Plimsouls, gli Shivvers ed i Let’s Active. Per non dimenticare poi i Feelies e gli Embarrassment.

Qui potete ascoltare 6 brani del loro cd/demo oppure ordinarlo direttamente, che è molto meglio: www.myspace.com/pulseout