Archive for Columns

Intervista a VIC BONDI (Articles Of Faith, Jones Very, Alloy, ecc.)

Venerdì, Settembre 14th, 2012

I nomi ed i loghi più ricorrenti nell’ambito dello stardom hardcore sono sempre quelli. Guardatevi braccia, pancia o glutei. Il 90% di voi è probabile li abbia impressi indelebilmente. Senza ombra di dubbio però non si troverà il mirino scentrato che vedete qua sotto.


Curioso come uno dei più genuinamente polemici personaggi della prima ondata hardcore, in possesso di armi e talenti meritevoli di ben più alti riconoscimenti, passi spesso in secondo piano negli annales musicali. Vic Bondi è stato infatti sorgente vitale da cui sono scaturiti gruppi potenzialmente seminali quali Articles Of Faith, Jones Very, Alloy, emanazioni dirette dei padri putativi dell’hardcore statunitense, ma capaci di rimodellare la forma del genere inglobando elementi topici del rock americano. In maniera del tutto ideale, la traiettoria di Vic è arrivata anche a lambire la tradizione folklorica del cantore solitario, anima del tutto smascherata nel suo album solista, per poi tornare alla vecchia fiamma punk con gli iperpolitici Report Suspicious Activity.
Personalità quindi poco sedentaria – figlia forse della vita nomade impostagli dalla famiglia fino all’età di 18 anni – e, da quanto si evince da interviste rilasciate a magazines o documentaristi, non accomodante.

Questa chiacchierata, svoltasi quasi 2 anni orsono, tocca alcuni temi personali e altri che ineriscono perlopiù al solo periodo Articles Of Faith. Per contestualizzare, immaginatevi il figlio di un militare, sballottato da una base all’altra, che ad un certo punto entra in contatto con la realtà punk/hardcore in quel di Chicago verso la fine degli anni 70. 
Mia intenzione era toccare anche le ere successive, a me particolarmente care, fino ad arrivare al ruolo importante che Vic ha avuto in qualità di ingegnere presso la Microsoft. Tutto ciò non è stato possibile, poiché 1) il nostro caro compaesano ad un certo punto si è eclissato e con lui anche il suo sito personale; 2) l’idea di pubblicare Bam! #8, sul quale avrebbe trovato alloggio questa intervista, ha subito contraccolpi a causa di vite che prendevano strade inaspettate.
Vista la portata universale delle parole di Vic, l’ho finalmente tradotta per sottoporla all’attenzione di chi sa di chi stiamo parlando o semplicemente è curioso di sapere.

Per una più completa esperienza, ho approntanto una mia personale antologia di brani che potrete scaricare cliccando sul LOGO ad inizio articolo. Sono alcuni dei miei preferiti, pescati qua e là da quasi tutte le incarnazioni musicali di Vic. La qualità è altalenante perché per condividerli con voi ho dovuto attingere da diverse fonti su internet.

Buon tutto.

 

La recente (all’epoca N.d.Vom) notizia della reunion  degli A.O.F. è giocoforza l’argomento da trattare per primo. Puoi dirmi qualcosa a riguardo e svelarci se sarà un ritorno touch & go o se per caso avete intenzioni “serie”, con tanto di tour e nuove releases annesse?

Per adesso ci saranno solo due show al Riot Fest e l’e.p. “New Normal Catastrophe” per Alternative Tentacles. Non abbiamo ulteriori piani, ma chissà. Il motivo della reunion è presto detto: Mike della Riot Fest ci ha chiesto di suonare e, adorando tutti noi quel festival, abbiamo accettato volentieri. Dopo una serie di prove per preparare i live, ci siamo accorti che le cose tra noi andavano così bene che abbiamo deciso di pubblicare il 12”. Credo che se qualcuno ci facesse un’offerta allettante potremmo anche valutare di proseguire. Senza dubbio ci piacerebbe fare un tour in Europa… Per ora, comunque, non abbiamo pianificato nulla. (ed infatti tutto è finito lì N.d.Vom)

Ora riavvogliamo il nastro tornando agli inizi. Sono passate tre decadi durante le quali hai, con una certa costanza, trovato la forza di scagliarti contro  lo status quo e le mostruosità dei Governi in carica, dall’era reaganiana fino all’impero dei Bush. Dando per assodato che dai vostri esordi ad oggi le cose non paiono granché migliorate, ti chiedo quali sono le motivazioni dietro alle quali continui a dare fiducia ad un veicolo come la musica?

Il motivo per cui ho formato i Report Suspicious Activity e la ragione principale per cui gli AoF sono tornati assieme è che sento ci sia ancora un gran bisogno di dire la mia sulla situazione attuale, anche sotto la presidenza Obama. La musica a suo tempo riuscì a penetrare nella mia situazione famigliare conservatrice, mostrandomi la via della coscienza politica. Quindi, considerando quanto le cose stiano andando male, ha perfettamente senso che io trovi la voglia di aprire quella stessa porta ad altri potenziali ascoltatori. Sto ancora lottando, ci vorranno generazioni per ottenere cambiamenti, ma credo ancora in un mondo fondato sulla ragione e la pace. Forse è il mondo che erediterà mia figlia, o forse ci vorranno lei, i miei nipoti ed i figli dei miei nipoti prima di arrivarci… ma sono certo che un giorno o l’altro accadrà.

Diversamente da molti altri tuoi “colleghi” so che hai sempre spaziato molto tra i generi e che uno dei tuoi grandi amori è il soul. Credi ci siano punti di contatto, dal punto di vista ideologico, tra musiche formalmente lontane come il soul o il blues e l’hardcore?

Certamente. Innanzi tutto, è assolutamente vero quel dici, ovvero che non mi è mai piaciuto un solo genere. Anche durante il periodo A.o.F. eravamo soliti ascoltare un sacco di roba differente quando eravamo in van. Molto country, hip hop, soul, addirittura jazz. La vitalità umana e l’esistenza stessa hanno così tante sfaccettature e differenti modi d’espressione che, davvero, perché mai dovresti limitarti focalizzandoti solo su una di esse? Ultimamente ad esempio sono piuttosto in fissa proprio con il blues. E’ una vecchia e sempre valida tradizione: canzoni scritte da gente che ha esternato la contrarietà nei confronti della propria solitudine e tristezza, e spesso contro l’oppressione. Molti hanno cantato queste canzoni, in una miriade di stili differenti… ed io sono ancora qua ad ascoltarli, decenni dopo, in commossa adorazione.

Oggigiorno la canzone di protesta ritieni possieda ancora la dirompente carica primitiva del blues o del country delle origini, o pensi vi siano altri veicoli che l’abbiano in qualche modo messa in ombra?

Probabilmente i blog hanno superato, per impatto e facilità d’accesso, la protest song. Io stesso ne leggo parecchi di stampo prettamente politico; amo Driftglass e James Wolcott, che scrive anche per Vanity Fair. Mi piace la buona prosa, gli articoli politici ben fatti. La cosa fantastica di internet è che non dobbiamo per forza ascoltare gli intellettuali “ufficiali”, quelli sponsorizzati dalle grandi corporazioni. Stiamo assistendo alla nascita di nuove modalità d’espressione… genuina espressione del popolo. Questo non accade solo a sinistra, certo: online ci sono anche fascisti e reazionari. Ovviamente, però, scrivono da cani e abusano in maniera ridicola dei punti esclamativi, quindi non mi sogno neanche di leggerli. E per di più hanno imparato a manipolare l’opinione pubblica. Qua negli States ci sono corporazioni e gruppi di destra che pagano gente per postare idiozie fasciste sui blog politici. Tutti noi dobbiamo quindi stare sempre in allerta per scovare questi “fakers”.

Gail Butensky/Sony Pictures Classics

Ho letto del grande impatto che Clash e Bad Brains hanno avuto su di te. Potresti dirmi qual è stato il processo che da adolescente ti ha portato a contatto con il punk rock?

Essendo cresciuto in una base militare non ho mai ascoltato molta musica da bambino. Non appena divenni teenager e iniziai ad ascoltare rock, dovetti darmi da fare per recuperare il tempo perduto. Il grande rock dei 60’s era finito ed io stavo ancora cercando di scoprire chi fossero i Beatles, gli Stones o gli Who. Era una musica fortemente connessa ad un senso di movimento, comunità – il radicalismo dei sixties e le ribellioni contro l’autorità – ed io feci mio anche quell’aspetto. Era un vero e proprio desiderio di cercare nessi politico/sociali nella musica. Quindi, quando nel ’77 arrivò il punk, mi sembrò sin da subito ciò che faceva per me. Poteva essere la MIA musica ed il MIO movimento. Quando arrivò negli States pian piano mutò, cambiò forma, e così fu l’hardcore a divenire letteralmente il nostro stile, la nostra scena. Per questo motivo era facile per noi passare dai Clash ai Bad Brains: fu un’evoluzione naturale.

In qualità di potenziale padre di una buona fetta di tuoi nuovi ascoltatori, quale credi possa essere la percezione che “le giovani leve” hanno leggendo le vostre gesta dell’epoca o guardando documentari su una scena per mille motivi lontana anni luce da loro?

Oggigiorno è facile che i giovani misinterpretino buona parte di noi che all’epoca eravamo attivi in quel movimento. Quando guardano documentari come American Hardcore ci vedono come un manipolo di vecchi brontoloni che si lamentano del fatto che la musica contemporanea non sia valida quanto quella dei nostri tempi. Ma in verità quello che cerchiamo di dire è che si ha una sola chance di lasciare il proprio segno nella storia della musica e una sola chance, forse, per aggiornare e rinfrescare una lunghissima tradizione di resistenza all’autorità. Se ti limiti ad imitare gli stili ed i gesti ribelli del passato, non farai mai tuo quel movimento, e la causa non farà passi avanti. Dunque uscite allo scoperto, sporcatevi le mani e combattete. Questo è il vero significato di punk rock.

In ultimo lascio la domanda con venature gossip: perché gli Articles Of Faith si sono sciolti ancor prima di pubblicare “In This Life”?

Sono sincero, non ne ricordo il motivo. Avevo già deciso di lasciare la band quando registrammo. Al tempo non stavamo andando in nessuna direzione come band. Io volevo laurearmi. Non ricordo le circostanze che hanno causato un tale ritardo nella pubblicazione del disco; per lo meno adesso è fuori e, chissà, ci sarà gente che lo ascolterà anche tra qualche decade.

Se sopravviverò, sarò uno di quelli. Ciao e grazie, Vic.

 

 

I don’t need no credit rating
Mass production market slaving
I won’t spend my life behaving
To the monopolies

“What we want is free” 1982

Small talk con… The Young Offenders

Martedì, Novembre 9th, 2010

Come ho già detto, gli Young Offenders hanno dato alle stampe alcune delle canzoni più coinvolgenti, in ambito prettamente punk rock, degli ultimi anni. “Non che ci volesse molto”, potrebbe aggiungere qualcuno a ragion veduta, ma non è questo il punto. Il non più recente e.p. li conferma maestri di euforia e calore, e so che per gli orfani degli Observers queste caratteristiche vogliono dire molto.

Di seguito trovate una breve chiacchierata all’insegna dell’ovvio, in quanto nata appunto come chiacchiera da bar che io vi riporto con fedeltà, poiché, tra le righe, la sorte della band risulta piuttosto incerta. Speriamo che la vita adulta non sprofondi anche loro, come ha fatto con i Fuses, in un insopportabile indefinite freeze.

Considerando che in Italia vi conoscono in 3 gatti, potreste snocciolarci passato, presente e blah blah blah? E’ per il bene dell’umanità.

Esistiamo da 5 anni, ma suoniamo in giro molto raramente, visto che siamo vecchi e pieni di impegni. Sia Tim che Pete hanno due bambini e ti assicuro che è davvero dura trovare il tempo per fare concerti o incontrarci con maggiore frequenza.

Tim negli anni 90, quando abitava ancora in U.K., suonava nei Nerves, poi, arrivato a San Francisco entrò a far parte degli Stockholm Syndrome. Pete ha un passato nei Loudmouths, Jason nei Dolores Haze e Dougie in svariate bands di Belfast. Pete occasionalmente suona con una skate punk band, Johnny and The Dudes. Tim, Jason and Dougie hanno un altro gruppo assieme ad una nostra amica, Laura, e si chiamano Bad Knaves. Ancora zero concerti, ma ti consiglio di tenere le orecchie aperte, perché da un momento all’altro potrebbero esplodere!

Tenendo come punto saldo che ogni vostra canzone è una bomba pazzesca e che non siete certamente iperprolifici, quanto dovremo aspettare per godere di una vostra prossima uscita?

Hey, non metterci fretta, il disco nuovo è appena stato sfornato! Non ho idea di quando registreremo qualcos’altro; le cose diciamo che sono un po’ in pausa, per far sì che Pete ci salti fuori con i suoi turni di lavoro. Dobbiamo pubblicare un 7” per l’etichetta inglese Static Shock… speriamo entro la fine dell’anno.

Avete avuto esperienze positive con le varie etichette con cui avete lavorato?

Il rapporto con la Deranged è stato grandioso. Gord in persona ci ha voluto sulla sua etichetta; ha esaudito ogni nostro desiderio, ascoltandoci al 100% e impegnandosi affinché tutto venisse come desideravamo! Non potevamo chiedere di meglio. Parts Unknown invece è una label più piccol e un po’ meno organizzata, per cui c’è voluto più tempo a far uscire il primo 7”. Rich comunque è un gran bravo ragazzo. Prossimamente la Dirtnap pubblicherà un nostro 7”: Ken è nostro amico e non vediamo l’ora che anche questa cosa si concretizzi!

http://www.myspace.com/youngoffendersmusic

CBGB’s vos salutat!

Martedì, Giugno 15th, 2010

Il CBGB’s fallisce per una seconda volta. Già nel 2006 lo storico locale chiuse i battenti della sua storica sede, strangolato com’era da debiti e dai miasmi del nuovo millennio. Come Cristo, tirò le cuoia a 33 anni circa. Un’apparente desiderio di preservare ed archiviare, frammisto all’avidità generata da un nome divenuto brand, portò nel 2008 alla creazione della compagnia CBGB Holdings LLC, la quale possedeva “all intellectual property, domestic and international trademarks, copyrights, video and audio libraries, ongoing apparel business, Web site and physical property of the original club.”

Ho utilizzato l’imperfetto perché questa compagnia ha recentemente dichiarato bancarotta. Chissà quanto saranno dispiaciuti tutti gli idioti che sfoggiano una maglietta che ormai ha lo stesso peso valoriale di un Baci & Abbracci o D&G. Poveri cocchi di mamma, che cosa sfoggerete ora nelle vostre pazze serate al Plastic?


Cleaners From Venus - 1982/1984

Lunedì, Maggio 31st, 2010

(Vom) Chissà quante volte e con che intensità avremo ancora l’opportunità di stupirci riesumando reperti inestimabili. Come al peggio non v’è fine, per una sorta di divina legge compensativa, così pare essere per le grandi opere con le quali questa buffa umanità ha lastricato acqua e terra. Negli ultimi anni è una continua parata di mastodontiche reissues, i sarcofagi sono spalancati ed è una goduria imbrattarsi di polvere di mummia! Un sollievo, in un’epoca in declino.

Possiamo reputarci fortunati, dotati come siamo di una memoria così corta da permetterci di godere di volti, frasi e melodie come fossero di volta in volta inedite, assemblate con note inaudite, neologismi spropositati e lineamenti sconosciuti. La ragione conosce il vero, perché forse tutto è stato detto, ma adoro illudermi. Così anche questo ritrovamento ha un che di palingenetico, rinnova la fiducia, l’amore per il talento sommerso.

Cleaners From Venus, creatura incantata di Martin Newell, prolifico musicista inglese che dai primi anni 70 ad oggi pare essersi immolato sull’altare delle armonie stupefacenti.

All’inizio della sua carriera alle prese con il glam assieme ai Plod, poi dedito al prog fortemente pop dei Gypp. Con la fine degli anni settanta, in pieno punk rock e derivati, dopo una fugace militanza nei London SS, mette in piedi gli Stray Trolleys, che più di un punto in comune avevano con il neo-modernismo di Jam e compagnia.
I dischi, pardon, le cassette di cui stiamo parlando però nascono dalla sua collaborazione con il batterista Lawrence Elliott, assieme ad altri elementi fluttuanti che compaiono ad intermittenza. Il triennio che ci interessa va dal 1982 al 1984, durante il quale Martin, con il monicker Cleaners From Venus, scrive, suona, produce e distribuisce sei cassette, tre delle quali, con un ritardo di 20 anni, sono diventate uno dei miei ascolti più assidui. Il merito è della Burger Records, etichetta americana solitamente dedita a sonorità più lo-fi garage punk, ma che evidentemente cova interessi eterogenei, tanto che ha ristampato le tre opere, optando per un approccio filologico: cassette erano e cassette sono, riproducendo fedelmente le copertine disegnate a pennarello da Martin stesso. Appoggiate sullo scaffale si mimetizzano in mezzo alle altre TDK e Sony con i titoli scritti a biro, pocciati a pastello oppure – c’erano maniaci che lo facevano, giuro – battuti a macchina. In ordine cronologico “Midnight cleaners”, “In the golden autumn” e “Under wartime conditions”. Copertine, titoli e note dei primi due album rigorosamente casalinghi, tratto-pen d’ordinanza e feeling da Postcard Records. Non è vero che un libro non lo si può giudicare dalla copertina.

Ben evidenziato si legge NO RIGHTS RESERVED – If you have money, buy it; if you don’t, copy it; if you do copy it write to…

Non è un vezzo d.i.y. questo atteggiamento anti-copyright e di bassissimo profilo. Martin, infatti, rimase scottato da precedenti esperienze in cui si era trovato prigioniero della grettezza di una major label; da allora decise di seguire tutta la filiera delle sue creature musicali, dalla composizione alla distribuzione, cosa che relegò a lungo i suoi dischi in un aureo limbo; per distribuzione, parlando dei Cleaners From Venus di quegli anni, si intende Martin in persona che giornalmente duplicava cassette, preparava pacchetti e li spediva via Royal mail. In pratica “Xerox music” dei Desperate Bicycles si fece carne. Cut it, press it, distribute it / Xerox music’s here at last.


Impossibile scindere i 3 dischi in questione, senza fare un torto ad un genio che si può amare veramente solo attraverso la fruizione organica del suo percorso. Nei passaggi e tracce che scandiscono il trittico si trovano le molte facce del post punk inglese, riflesse nell’eleganza pop che solo alcuni gruppi della perfida Albione sono riusciti a dipingere. Gusto eccelso per la rifinitura talvolta barocca, un umorismo grottesco affine ai Monty Python, un approccio vittoriano a quelle che sono le rovine del punk. Dukes Of Statosphere e quindi i Kinks di “Village Green Preservation Society”, Tv Personalities e Scrotum Poles. Un viaggio tra chitarre inconfondibilmente 80’s, jangle come non mai, batteria o drum machine che ricordano le 200 lire nei jukebox, synth e pianoforti che toccano il top of the pops in “Wivenhoe bell II”. Se “A holloway person” sembra opera dei Go-Betweens, “Hand of stone” è uno stralunato tributo a Bo Diddley.

Martin, una figura complessa che è riuscita a creare una crepa nell’immaginario musicale dell’epoca. Approcciarsi alle sue creazioni è anche addentrarsi nel ventre molle dei primi anni 80, in cui schegge impazzite, rigettate dall’industria musicale, intasavano le buche della posta di mezzo mondo. Francobolli rivestiti di colla Pritt, uno dei trick che andavano per la maggiore.

Lucidamente consapevole del suo status di outsider, Martin scrive una ballata per Syd Barret, incastonandola in un disco che si apre con un esperimento che fonde il primo hip hop, l’emergente danceteria della Hacienda e la brillantezza degli XTC. “Summer in a small town”, una cartolina dai sobborghi in cui si muovono il factory boy, la Marilyn on a train e, in fin dei conti, a fool like you.


DEAD MELLOTRON

Martedì, Aprile 6th, 2010

(Vom) Quello che state per leggere è un cattivo esempio. Da non seguire. Da evitare. Da tenere a mente.
Per motivi ancora oscuri mi ero dato come obiettivo di approcciare Josh, personaggio che tradotto in musica si fa chiamare Dead Mellotron. Il suo primo e.p. era rimasto per mesi in circolo nella mia corteccia uditiva primaria; in preda a deliri pissichedelici ero ostaggio di un incanto olografico in cui il nostro doveva necessariamente essere un affabile e talentuoso artista perso nella sua autistica costellazione di riverberi. Non poteva essere altrimenti. Al bando le malelingue. Il delay non può mentire. Ecco quindi come ho deciso di discutere con lui di questa sua creatura, incurante del fatto che l’ometto in questione si dicesse essere simpatico e scostante quanto il figlio adottivo di Mengele e Marc Dutroux (che, ora che ci penso, protrebbe effettivamente essere una sagoma mica da ridere). E ancor più incurante della pressocché totale assenza di curiosità – da parte mia - di conoscere vita, morte e miracoli di Dead Mellotron. Lo ammetto, avrei potuto farmi bastare la musica, ma l’ignoto mi intriga. Io sono partito mal disposto e con l’ispirazione sotto i piedi. Josh ci ha dato dentro con affabilità pari a zero, grammatica e costrutti che avrebbero messo in ginocchio anche gli agenti del KGB, latitanza ed altre cose che belle non sono. Ma in fondo, come ho già detto sopra, la colpa è mia, come quando ci si incaponisce nel voler uscire con la più bella del reame, sebbene con ella non si abbia nulla in comune. Il coraggio è ammettere l’errore e scaricarla sul più bello. Per questo motivo la qui presente intervista è monca, mozza, zoppa. Ho staccato la spina.

Scrivo queste righe dopo avere ascoltato incessantemente il suo nuovo album, omonimo. Qual beltade!
All’epoca la sorte di questo lavoro doveva essere ben altra. Un’etichetta avrebbe dovuto pubblicarlo, ma è notizia recente che l’accordo è sfumato. Prevedibilmente, mi viene da aggiungere. Josh, in un primo momento lo mise scaricabile direttamente dalla sua pagina di Myspace, come fece con il precedente e.p. Ora però ha cancellato il file, in preda a chissà quali manie perfezioniste o deliri antisociali.

Questa intervista, colma di contraddizioni, è per coloro che hanno avuto la fortuna di godere di entrambi i dischi immateriali di Dead Mellotron, ora come ora una delle più lussuriose realtà retro pop proveniente dagli USA, con lo sguardo fisso su sostanze psicotrope made in U.K.

Scusate. E scusa anche tu, Josh.

Sono passati diversi mesi dalla pubblicazione di “Ghost Light Constellation”. Ora so che stai lavorando al suo successore, ma intanto ti chiedo come hai vissuto il responso da parte di critica e pubblico. Mi risulta che tu sia rimasto infastidito da alcune considerazioni pubblicate in rete.

Molti hanno ipotizzato che quella non fosse altro che una merdosa raccolta di canzoni, assemblata da un tizio qualunque nella sua camera da letto e regalata in maniera patetica a chiunque la desiderasse. Bè, quelle persone avevano ragione. Non credo che l’essenza del disco sia stata colta da tutti. Non è affatto un’opera umile; è autoreferenziale, completamente intrisa della mia personalità.

Tenendo conto di ciò, avevi pensato che molte persone ne sarebbero rimaste così fortemente affascinate?

Sinceramente no, non mi aspettavo affatto che qualcuno avrebbe potuto prestare così tanta attenzione a questo e.p. Okay, è bello che sia stato accolto così bene, ma ormai è notizia vecchia.

Prima di parlare del tuo recente passato, potresti dirci qualcosa riguardo il prossimo album?

A questo giro desideravo pubblicare qualcosa di veramente meritevole, e sarebbe dovuto uscire proprio oggi… ma ancora non è pronto. Continuo a modificare gli arrangiamenti, perché sono l’aspetto che più mi interessa. Alcune canzoni sono molto poppettose ed è molto difficile lavorarci senza far sembrare il tutto eccessivamente premeditato e calligrafico. Come se non bastasse, la cesellatura delle canzoni più pop rischia di far passare il messaggio che il resto dell’album sia meno curato. Ogni elemento dell’album, invece, ha un suo senso, un suo perché. L’insieme contribuisce a suscitare determinate emozioni. Allegria, nostalgia, pietà o quel che vuoi tu. Dovrebbe sempre essere così, anche se raramente capita.

Quante etichette si sono dimostrate interessate alla pubblicazione del tuo nuovo lavoro? Ho letto che Fla Records editerà “Ghost Light Constellation” in vinile e SVC si occuperà dell’album. Dico bene?

Già ai tempi della pubblicazione on-line del primo e.p. mi contattarono un sacco di labels. Avrei dovuto lavorare con la SVC per un po’ di uscite, ma alla fine non se ne è fatto nulla. E’ probabile che rimanga con la FLA per tutte le mie future pubblicazioni su supporto fisico! James è dannatamente pieno di passione per tutto ciò pubblica, ed è bello lavorare con gente del genere. (In verità, ad oggi, l’e.p. non è stato ristampato, anzi, è addirittura scomparso il nome Dead Mellotron tra le future uscite FLA; inoltre la stessa SVC ha annunciato con rammarico che non pubblicherà questo suo ultimo disco. N.d.r.)


Dici che la tua maggiore influenza è l’apatia, termine il cui etimo stona decisamente con le tue accorate registrazioni. Come è nato questo tuo amore?

Mi sono sempre gettato a capofitto dentro a qualsiasi cosa mi appassionasse. Non amo essere spettatore. Tutta la roba Dead Mellotron fin dall’inizio è nata in maniera realmente casuale e senza grandi intenti concettuali. Non mi sono sforzato fino allo stremo per curare il songwriting o la produzione. Credo che al tempo nient’altro sarebbe potuto essere più onesto ed verace. Mi chiedi da cosa tutto ciò sia nato? Soprattutto da una manciata di merdosi riff di chitarra, buttati lì alla maniera dell’usa-e-getta.

Di solito mi intriga sapere se in qualche modo la provenienza geografica di un determinato artista abbia in qualche modo a che fare con la direzione verso cui tende. Quanto c’è della città in cui sei cresciuto nelle tue canzoni?

Il luogo in cui vivo non riesce ad evocarmi il benché minimo desiderio di fare qualcosa. E’ una città di merda, decisamente brutta, culturalmente scialba. Quindi direi che Dallas non ha nulla a che fare con il progetto Dead Mellotron.

Quanto del tuo tempo libero è dedicato alla musica? Il fatto di essere cervello e muscoli dietro al progetto Dead Mellotron non rende complicata la gestione di ogni singolo aspetto?

La cosa che preferisco del registrare da solo è che ho il controllo totale su qualsiasi cosa. Non mi piace avere a che fare con le idee mediocri di qualcun altro. Mi toglierebbe del tutto il divertimento,
dovere valutare il contributo di ogni membro del gruppo, cercando di mantenere sempre un certo livello qualitativo. Non amo i compromessi. So esattamente cosa voglio, quindi le mie intuizioni sono le uniche a contare. Registrazione e arrangiamenti di ogni singolo brano sono tutti opera mia. Nessun altro è coinvolto. O meglio, qualcuno c’è, ma il suo apporto è sempre indiretto.

Va bene. Basta così. Ascoltate la musica e più non dimandate.

http://www.myspace.com/deeeadmellotron

PRIMAVERA SOUND 2007 (Barcellona)

Venerdì, Ottobre 5th, 2007

Premessa

Scrissi questo report i giorni seguenti il festival che si è tenuto a Barcellona dal 31 maggio al 3 giugno 2007, ma persi immediatamente il file sul quale avevo impresso a caldo le mie impressioni. Solo pochi giorni fa, però… ABRACADABRA, l’ho ritrovato per magia e quindi ve lo propongo a puntate in tutta la sua primigenia ingenuità, con tanto di fotografie scattate da me medesimo con totale imperizia.


Anno che viene, Primaverasound che va. Anche quest’anno, come i due precedenti, mi sono concesso una sosta, un sospiro di sollievo, un salto dove l’acqua è più blu. Il Primavera Sound è il festival perfetto (o quasi). Un centinaio di gruppi spalmati su 3 giorni – 4 se si considera l’after party – in cui vengono accontentati i gusti più disparati (Ok, va bene, il grind non c’è. E no, neanche l’hip hop negro. Il liscio? Che due maroni, ora basta. Era solo un modo di dire!).

Dicevamo, la varietà e la qualità sono tali che sono solito acquistare l’abbonamento in gennaio, ovvero mesi prima che venga rivelato il cartellone. E’ un appuntamento al buio e, devo dire, fino ad ora non mi sono mai trovato a braccetto con un brutto cesso. Anzi.
Anche l’edizione 2007 si è rivelata ricolma di nomi altisonanti, band che sognavo di vedere live da anni, nuove e vecchie promesse. Un emporio della musica, insomma, condito di birra e vento, che, ve l’assicuro, non vanno a braccetto, soprattutto quando il vento si rivela essere hermano della bora. E allora si sono visti bicchieri prendere il volo, pisciate ribellarsi e adagiarsi sui jeans degli indie-rockers, suoni che partivano per la tangente per poi ritornare con il refolo successivo… Il vento ha fatto un concerto della madonna. Ha spazzato via tutti.

Ma, oltre ad Eolo, i protagonisti erano tanti; i Melvins, sopra a tutti. Il loro è stato il concerto che senza ombra di dubbio più mi ha sconvolto. Basti dire che un mio amico, appena hanno attaccato con frequenze così basse che bisognerebbe dichiararle fuorilegge insieme al Pvc e alle magliette Baci & Abbracci, è sbiancato perché temeva di essere in procinto di avere un infarto. “Ragazzi, non mi sento bene. Me ne vado!”. L’abbiamo confortato e coccolato sussurrandogli nell’orecchio: ”Non preoccuparti. E’ tutto a posto. Sono i Melvins. Dai! Sai, King Buzzo? Te lo ricordi? Quello con i capelli pazzi…”. Per sua e nostra fortuna è tornato in sé nel giro di pochi minuti e così si è potuto godere l’esecuzione poderosa di tutto “Houdini”. I Melvins hanno dimostrato di fare storia a sé, tanto che i paragoni con le altre band non sarebbero corretti e per questo volto pagina e mi dedico solo ai pochi gruppi che meglio possono alloggiare tra le pagine di BAM! Siete dei puzzoni rocchenròl ed io vi assecondo, come si fa con i poco normali.


JAY REATARD (ore 21.15 - Vice Stage)

Ha la pappagorgia. Lo so. Ma so anche che è un eccellente cantautore, nel vero senso della parola. Nonostante nutra per lui un’antipatia difficilmente eliminabile, mi trovo immancabilmente ad ascoltare a ripetizione ogni suo nuovo parto. Dai Reatards fino al suo attuale progetto solista, passando per Bad Times e Final Solutions. Checchè se ne dica, il pacioccone ha talento e grande cultura musicale, e lo dimostra ogni volta con le cover che sceglie e i furti che mette in atto. Detto questo, avevo visto Jay dal vivo 3 giorni prima al Taun di Fidenza. Stanza crematoria. Lui nervoso, irascibile e ben poco tollerante, come se fosse solito suonare sempre nei refettori di monasteri. Se hai deciso di suonare punk rock, per di più veloce e rabbioso, mi sembra il minimo che qualcuno si agiti e oltrepassi il sacro confine del palco. Più tardi infatti, dopo aver sospeso il concerto in fretta e furia dopo 20 minuti scarsi, avrebbe chiamato in causa un dente scheggiato. Vabbè. Certo, ci sono persone nel pubblico che talvolta andrebbero scuoiate e ricoperte di sale grosso, ma le reazioni di quest’omone sono sempre fuori dalle righe. La faccio breve. Al Taun ha fatto un concerto così così. Breve. Nevrotico. Indisponente.

A Barcellona il contesto era tutt’altro. Palco immenso sponsorizzato da Vice. Jay è su quel palco. C’è ogni ben di dio. Luci lucenti. Suoni suonanti. Il logo di Vice in ogni dove. Cazzi. E soprattutto mazzi. Come dire: zero punk rock, se tra di voi c’è qualcuno che bada a queste cose. Il “nostro”, aiutato da 3 prodi Boston Chinks, ha snocciolato un brano dopo l’altro. Senza sosta. Impeccabile e assolutamente travolgente. 30 minuti abbondanti durante i quali ha eseguito gran parte dell’LP insieme ad estratti dal recente 12” su In The Red e altre pepite tratte dai 7”. Purtroppo anche qui non si è smentito, prodigandosi in smorfie odiose, sputi, lanci di oggetti (una bottiglia ed una lattina ovviamente piene) e così via, peccato che fare il GG Allin dei poveri su di un palco griffato è quantomeno ridicolo.

Sociopatia a parte, è stato un concerto musicalmente esemplare, sebbene mi abbia lasciato con un annoso dilemma: se gli fa così schifo il suo pubblico, perché cazzo non se ne sta nella sua cameretta a farsi le pugnette sulla chitarra? Mistero della fede. Intanto io ci casco puntualmente.

the CHEATERS @ Devil’s Den - Festival Beat (Video)

Domenica, Luglio 15th, 2007

The CHEATERS from Norway were one of the best bands at the FESTIVAL BEAT’s 15th edition (if you ask me, THE best band…). They played open-air at the mighty DEVIL’S DEN PUB, in “Miss Italia”’s Salsomaggiore Terme, on thursday 5 july
This is the last song of their 40minutes-set, “It’s alright”. Then a really fat policeman came to stop the show…maybe for the neighbours it wasn’t so alright…eh eh!!

The KING KHAN & BBQ Show @ Vieille Montagne - Stockholm (English)

Domenica, Maggio 13th, 2007

During the last month, i toured two times scandinavia as roadie for the MOJOMATICS
At the first date in Stockholm, they played with MAKEOUTS from Sweden, supporting our old buddies KING KHAN & BBQ. The venue was amazing…Vielle Montagne is…a BOAT!! Tickets were totally soldout, with people waiting outside for havin a chance come inside

Here is “le grand final”, my favourite: “Shake Real Low” at the end of their set
Special appearance: King Thomas Savage dancin and singin in the first line!!!!

The MANIKINS Acoustic Radio-Show (English)

Lunedì, Aprile 30th, 2007

Last february we booked an italian tour for the MANIKINS from Sweden

They played Firenze, LasPezia, Fidenza (PR) and Trento. On sunday 19, they appeared as guests in a special episode of the POWERPOP TIME Radioshow, on Radio Onda D’Urto, by Luca Frazzi and Alessandro Tamarozzi, and played 4 acoustic songs. You can find the entire episode somewhere on Soulseek. Here you have two videos taken with my mobile phone. Both songs will feature in their upcomin album, first one is called “You’re bad when you want to”, don’t know the title of the second one (“Hangin’ for …something” I suppose…)
These guys know how to drink hard (of course, it wasn’t allowed to have beers in the studio, but anyway…)

The MANIKINS @ POWERPOP TIME Radioshow