Archive for Recensioni

Belli, brutti e cattivissimi - Frattaglie del 2010

Lunedì, Gennaio 3rd, 2011

(Vom) Per esorcizzare l’anno neonato ed evitando la trappola del listone della spesa “The best of 2010″, evado un po’ di robaccia rimasta a prendere polvere. Alla prima stazione di questa dolorosa processione incontro i The Men, che sicuramente fanno sogni bagnati in location tipo il Golden Torch o la Blackpool Mecca. Soul, soul, soul, indeciso se stare dalla parte del r’n’b bianco venato pop o sulla riva piena di negri sudati e scalmanati. L’insieme non è del tutto esaltante, ma i ragazzi ci mettono anima e core, azzeccando alcuni refrains  e piazzando un malizioso hammond che schifo mai non fa. Oh, dimenticavo:  in “Leaving fairview park” fanno il verso agli Hollies pissighedelici, sfoggiando flauto traverso e tamburello. Vedete voi se è un punto a favore o di demerito. Per me è mezzo pollice verso the sky.

Nacho Fever (”Narvous as chained monkeys” CD), da Reggio Emilia, ancora una volta rhythm’n’blues, però inzaccherato di garage punk. Attivi ormai da alcuni annetti, musicalmente ben piazzati, dal vivo esagitati ma… ma… nel complesso non proprio sbalorditivi. Il tallone d’Achille è il cantato, che arranca e non aiuta a far decollare i brani, anzi… Ed infatti il momento più interessante è la strumentale “Beat… of course!” .

La Sunny Day Records mi offre i prossimi due dischi.  The Shake (”Try to get ready” CD), desde Almeria, si presentano, tanto per cambiare, vestiti di tutto punto con gessati d’ordinanza. Che due maroni. Mai che un gruppo garage si conci come gli Skrewdrivers o una band  black metal indossi bermuda, bandana e maglietta della Vision. Dai, cazzo, un po’ di fantasia! Vabbé, che volete che suonino? Soul, beat e tanto pop sulla scia degli Standells. La prima traccia è un bel rip off dei Manfred Mann, “Shame on you” copia senza accorgersene l’attacco di “I’m a miracle worker” e via di questo passo. Non male, per carità, ma ci sono mille altri dischi con idee originali prima di arrivare a loro.

In epoca di beach-fi, coast-gaze e cazzinmare vari, gli spagnoli Los Immediatos fanno un tuffo carpiato indietro di 50 anni e ci regalano un fiero jingle-jangle che se ne fotte della moda. Corettoni stile Cavalieri del Re o Jan & Dean, fuzz umido, chitarre luccicose e germogli power pop. “Another story”, gavettone da spiaggia, apre le danze egregiamente, e la farfisa che sguazza nella successiva “Having a look around” non mi fa pentire di avere pigiato play. Mica stupidi a scegliersi un nome così azzeccato. Consiglio con forza.

Altro giro, altro regalo. Dall’Ammmeriga atterra il disco dei Wheels On Fire, copertina oscena che nasconde un succulento concentrato di folk spuntato su letame punk. Da Athens, Ohio, i regaz hanno mani d’oro nello strimpellare corde e percuotere il percuotibile. Opere del genere portano alla luce qual è la qualità che ormai pare essere prescindibile e che invece “NO!, cazzo, non se ne può fare a meno”: songwriting, lo chiamano gli sfigati, la bravezza nello scrivere canzoni fighissime, lo chiamo io che sono ancor più sfigato. Ricordo di avere aspettato a lungo ed invano un intero album dei Barbaras, ed ora mi rifaccio con questo tripudio di brillantezza. Ballo con immagini alla rinfusa, i Marked Men agresti ricoperti da tonnellate di tamburelli, gli svedesi Ceasars al loro meglio, “Time Bomb Highschool” a volume 11… Ma quello che importa è che qua, appunto, si balla. E di brutto.

E’ il turno della Germania con i Kidnappers (”Will protect you” CD), veterani poppunk-rock. Dopo il punk’n’roll degli esordi, ci riprovano con la poppaggine che tira sempre come il pelo di quella cosa là che si sa quanto tira… A voler essere maliziosi si potrebbe pensare che i due gemelloni stiano cercando di seguire le più dotate orme dei Lost Patrol Band, non riuscendoci. Sono certo che a qualcuno potrà piacere, ma a me proprio no, perché, a dirla fuori dai denti, è un disco di una fiacchezza incredibile. Insomma, un carro di buoi tira molto di più.

Radio Vudù, punk rock nudo e crudo sul lato A e Detroit sound sul B. Copertina e testi dedicati alla feccia che governa il Belpaese. Poco altro da dire, se non che il cantante, anche per colpa di frasi assai ingenue, più che snotty risulta poco gradevole.

I bresciani Mugshots mi costringono a scrivere con imbarazzo queste poche righe. Punk rock pomposo e dai toni cupi, non T.S.O.L. ma piuttosto Damned epoca tastieroni. Quattro canzoni sul 10”, coraggiose, anche quando si sbilanciano con soluzioni ruffiane e pseudo-prog. Quello che però non mi permette di apprezzare la loro proposta è la pessima pronuncia inglese ed il cantato forzatissimo, ostacolo per me insormontabile e sopportabile a fatica. Me ne dispiaccio, perché quantomeno si discostano dalle solite schifezze che ci vengono spedite, ma la cover di “I surrender”  degli Adverts è il colpo di grazia dopo il quale non posso far altro che consigliare di “rivoluzionare” l’aspetto vocale.

Il cd dei Bed Blood non solo non c’entra una mazza con Bam!, ma fa anche simultaneamente cagare e pena.

Tocca ora al 7” delle Kamikaze Queens, che il press sheet definisce “burlesque punk cabaret from Berlin”… ed è subito vomito. Non tanto musicalmente, perché il loro voodoo-billy da supermercato non smuove né nausea né noia né gioia, ma per tutto l’immaginario da pin-up dei poveracci che si porta dietro il carrozzone burlesco. Niente altro da dire. Un 7” che si limita ad inquinare il pianeta senza portarsi dietro neanche una briciola minimamente degna di nota.

Chiudiamo, malissimo, con i “Demons”, già insipidi all’epoca dell’invasione hard punk scandinava. Dopo anni di silenzio ritornano alla loro maniera: pur maneggiando la stessa materia di Sonics e Devil Dogs, riescono nell’intento di annoiare l’ascoltatore prima che inizi la seconda traccia. Missione compiuta.

Finita questa dolorosa solfa, giaccio esanime e privo di speranza. Addio.

De Høje Hæle - Skal vi aldrig videre? - CD (Hjernespind)

Sabato, Dicembre 25th, 2010

(Vom) In giugno vi avevo aggiornato sugli ultimi movimenti in casa Hjernespind ed ora son qua a tirarvi per la giacchetta. E’ Natale, manca solo un’ora prima che arrivino i parenti e ancora non sapete cosa regalare a vostro nonno? Ecco la risposta, direttamente da Copenhagen.

De Høje Hæle, dotati di genio, tanto che rimescolano carte ormai logore come il punk SetteSette e ciò che è venuto subito dopo. Ogni brano è una matrioska di armonie, cambi di tempo che fan pensare “WTF!?!”, melodie vocali (rigorosamente in danese) non consuete. Insomma, dalla prima all’ultima traccia (che è una mega cover degli Stukas) “Skal vi aldrig videre?” è una bomba pazzesca che seziona i Ramones con la mano nervosa dei primi Wire. Concerto dei sogni sarebbe vederli sullo stesso palco assieme agli australiani Uv Race.

Dai, mo’, che manca poco.

http://www.myspace.com/dehjehle

Cayman The Animal - S/t (demo)

Venerdì, Dicembre 10th, 2010

(Vom) Caimano l’Animalo è da qualche mese che scorrazza nelle orecchie di noi comuni ed umani mortali. Lo disegna Ratigher ma lo suona un nucleo di loschi elementi perugini, ex molte cose, tra cui Ouzo ed Ingegno. Proprio dagli Ouzo paion prendere il LA, aggiungendo però palate di rockismo da baffo nero. E’ roba buona questa, soprattutto se si pensa che il demo/e.p. in questione è stato registrato un po’ alla buona durante una sessione di pre-registrazione dell’albume vero e proprio.

Massicci e con melodie vigorose che ricordano le cose più disparate del post-hardcore fine 90 ed inizio duemille. Dico solo che “Underneath the cover” è l’asso pigliatutto, con un profilo così somigliante agli anni d’oro degli Hot Rod Circuit, mentre in “It’s up to you” mi sa che suona Egerton sotto mentite spoglie e parrucche.

Mobbasta però. C’è il panc, c’è la putenza, c’è il canticchiare, che volete ancora? Aspettate il disco e intercettate la bestia in qualche locale d’Italì. Daje.

Contattate il Caimano: http://caymantheanimal.wordpress.com/

Big Black Cloud - Dark Age - LP (Stankhouse)

Sabato, Dicembre 4th, 2010

(Vom) Se un bicchiere d’anfetamina mezzo vuoto lo si riempie di rettili, saltano fuori mazzate come i Big Black Cloud. Non è un caso che vengano da Portland, città in cui anche Marky, il nemico di Iridella, si è rifiutato di trasferirsi per lavoro perché “troppo grigia”. White noise alla Cop Shoot Cop e tastieroni garage da incubo, sotto una coltre nera di distorsioni e urla blues del calibro di “ the future sucks, the gods must be fucked up”. Tra i solchi di “Dark age” risiede il maligno, quindi pigiate tre volte il tasto 6 e rendete grazie a Belzebù.

http://bigblackcloud.bandcamp.com/album/dark-age

Two bit Dezperados - Macumba para Exù 7″ (Shit Music For Shit People)

Lunedì, Settembre 20th, 2010

(Vom) Ormai stanco dell’arido player di Myspace e smanioso di intercettarli nuovamente su qualche palco, giunge nelle mie mani questo splendido oggetto che coniuga vinile, artwork di lusso e gran buon gusto. Tommaso ed Angela, menti supreme della Shit Music For Shit People, sono qui coadiuvati da musicanti di ben straordinario calibro, provenienti dalla sgargiante orbita garage-punk sarda: Love Boat e Rippers. La riproposizione live della celeberrima “A minha menina”, la sfarfallante grafica tropicaleggiante a cura di Sylvie P. e la provenienza della fascinosa ugola di Angela però non vi traggano in inganno: non ci si trova al cospetto di semplici fanatici bahiani.

Armati di farfisa, tambourine, up-tempo ed entusiasmo corale spiazzano con una memorabile “Pretty girl”, forte di passaggi folk che richiamano alla mente i migliori The Duke and The Dutchess. Non da meno gli altri brani, liberi come sono da vincoli stilistici, attenti solo al perfetto bilanciamento del cantato femenino y masculino, intrecciato a chitarre che stupiscono. Nella conclusiva “O yes” sfocia la gioia di un piccolo grande disco che ha accresciuto il mio appetito e l’impazienza. Sapendo che i ragazzi sono proprio in questi giorni in sala di registrazione, non mi resta che contare le ore che ci separano dall’uscita dell’LP. O yes!

Contatti:

http://www.myspace.com/twobitdezperados

http://www.myspace.com/shitmusicforshitpeople

Superchunk - Majesty Shredding (2010)

Mercoledì, Settembre 8th, 2010

News fulminea, perché il succo sta tutto nella musica.

Il nuovo disco dei Superchunk è in streaming qua!

Favoloso, sulla scia delle loro ultime uscite e del concerto strappa_pelle_d’oca che hanno tenuto al Primavera Sound di Barcellona. Settembre non viene solo per nuocere.

Ruth Veln Kiss - I was 21 yrs old and now no more CD

Venerdì, Luglio 9th, 2010

(Vom) “Dolore, schizofrenia, odio”, ma soprattutto dedizione, hanno prodotto una delle raccolte sonore più interessanti di quest’anno. Il periodo di riferimento è il 1998/2001 ma solo ora questo progetto trova la giusta attenzione, grazie alla meritoria ristampa ad opera della Sometimes records e Handwriting. Ruth Veln Kiss, un circa ventenne che ha composto, registrato, curato l’artwork, regalato e distribuito demotapes, con un piglio non molto lontano dall’autarchica presa di posizione di Martin Newell con i suoi Cleaners From Venus.
Solitudine ed ingegno vestiti di distorsioni sature e ritmiche da catena di montaggio. Affascinante collage di timbri cupi alla Christian Death che nel corso del disco ondeggiano tra il noise newyorkese di ormai 3 decadi fa e l’isolazionismo minimale di certa elettronica mitteleuropea. Una recensione dell’epoca recita “unica nota la registrazione da canna del gas”, affermazione che mi permetto di fare mia, stravolgendone però il senso, dato che è proprio l’urgenza di fissare questi pensieri disturbati a rendere imperdibile la poetica di Ruth Veln Kiss. Byroniano nella sua eleganza, non cala di intensità durante tutto il percorso composto da ben 29 tracce, in bilico tra ronzii rumorosi e calibrate aperture melodiche. Una proposta che, alla luce di alcuni hypes contemporanei, dimostra di avere precorso i tempi. Questa è la giusta occasione per (ri)scoprire un tassello importante che fino ad oggi era rimasto “intrappolato” in varie cassette ormai difficili da reperire.

Contatti:

http://www.myspace.com/ruthvelnkiss

http://www.myspace.com/sometimesrecords

Rollercoaster - Unfinished business - CD ep

Lunedì, Giugno 21st, 2010

(Vom) Dall’Italia fuggono cervelli, mani, piedi ed ugole, quindi non mi stupisce che anche Matteo Perra dei Rollercoaster, forte delle sue qualità detroitiane, abbia trovato rifugio oltreoceano. In fondo ha ragione su più livelli: i come on della Motor City danno diritto ad un passaporto r’n’r trasversale, che deve essere vidimato negli States (oppure a Perth, se si preferisce l’altro emisfero), soprattutto quando la propria terra natia schifa i profeti.
Dopo anni di fuzz e wah wah, i nostri tornano con un ottimo e.p., registrato nella torrida e tremebonda California. Se sulle spalle di “Change is due” e “Between seeing and not seeing è appoggiata la mano benevola di Ron Asheton, i momenti che più scuotono il cuore sono “Soul on fire” e la conclusiva titletrack. Quello che è propriamente detto proto-punk slitta di una decade e proietta ombre di Gioventù Sonica, per poi balzare nuovamente indietro, nell’acido texano dei 60’s.

Chi ha amato il risorgimento garage punk negli anni 80, non potrà che commuoversi con “Unfinished business”: vibrante dei migliori momenti paisley che si possano immaginare, ma, quando la mente è ormai adagiata su languidi lidi che risuonano lontanissimi dai nostri, ecco sorgere dal profondo degli ampli un organo figlio del progressive italico… ed è tripudio. Una traccia che è uno scintillante biglietto da visita. Una band che sarebbe sciocco lasciarsi sfuggire.

Streaming: http://soundcloud.com/agiantleap/sets/rollercoaster-unfinished-business

http://www.rollercoastertheband.com/

Cleaners From Venus - 1982/1984

Lunedì, Maggio 31st, 2010

(Vom) Chissà quante volte e con che intensità avremo ancora l’opportunità di stupirci riesumando reperti inestimabili. Come al peggio non v’è fine, per una sorta di divina legge compensativa, così pare essere per le grandi opere con le quali questa buffa umanità ha lastricato acqua e terra. Negli ultimi anni è una continua parata di mastodontiche reissues, i sarcofagi sono spalancati ed è una goduria imbrattarsi di polvere di mummia! Un sollievo, in un’epoca in declino.

Possiamo reputarci fortunati, dotati come siamo di una memoria così corta da permetterci di godere di volti, frasi e melodie come fossero di volta in volta inedite, assemblate con note inaudite, neologismi spropositati e lineamenti sconosciuti. La ragione conosce il vero, perché forse tutto è stato detto, ma adoro illudermi. Così anche questo ritrovamento ha un che di palingenetico, rinnova la fiducia, l’amore per il talento sommerso.

Cleaners From Venus, creatura incantata di Martin Newell, prolifico musicista inglese che dai primi anni 70 ad oggi pare essersi immolato sull’altare delle armonie stupefacenti.

All’inizio della sua carriera alle prese con il glam assieme ai Plod, poi dedito al prog fortemente pop dei Gypp. Con la fine degli anni settanta, in pieno punk rock e derivati, dopo una fugace militanza nei London SS, mette in piedi gli Stray Trolleys, che più di un punto in comune avevano con il neo-modernismo di Jam e compagnia.
I dischi, pardon, le cassette di cui stiamo parlando però nascono dalla sua collaborazione con il batterista Lawrence Elliott, assieme ad altri elementi fluttuanti che compaiono ad intermittenza. Il triennio che ci interessa va dal 1982 al 1984, durante il quale Martin, con il monicker Cleaners From Venus, scrive, suona, produce e distribuisce sei cassette, tre delle quali, con un ritardo di 20 anni, sono diventate uno dei miei ascolti più assidui. Il merito è della Burger Records, etichetta americana solitamente dedita a sonorità più lo-fi garage punk, ma che evidentemente cova interessi eterogenei, tanto che ha ristampato le tre opere, optando per un approccio filologico: cassette erano e cassette sono, riproducendo fedelmente le copertine disegnate a pennarello da Martin stesso. Appoggiate sullo scaffale si mimetizzano in mezzo alle altre TDK e Sony con i titoli scritti a biro, pocciati a pastello oppure – c’erano maniaci che lo facevano, giuro – battuti a macchina. In ordine cronologico “Midnight cleaners”, “In the golden autumn” e “Under wartime conditions”. Copertine, titoli e note dei primi due album rigorosamente casalinghi, tratto-pen d’ordinanza e feeling da Postcard Records. Non è vero che un libro non lo si può giudicare dalla copertina.

Ben evidenziato si legge NO RIGHTS RESERVED – If you have money, buy it; if you don’t, copy it; if you do copy it write to…

Non è un vezzo d.i.y. questo atteggiamento anti-copyright e di bassissimo profilo. Martin, infatti, rimase scottato da precedenti esperienze in cui si era trovato prigioniero della grettezza di una major label; da allora decise di seguire tutta la filiera delle sue creature musicali, dalla composizione alla distribuzione, cosa che relegò a lungo i suoi dischi in un aureo limbo; per distribuzione, parlando dei Cleaners From Venus di quegli anni, si intende Martin in persona che giornalmente duplicava cassette, preparava pacchetti e li spediva via Royal mail. In pratica “Xerox music” dei Desperate Bicycles si fece carne. Cut it, press it, distribute it / Xerox music’s here at last.


Impossibile scindere i 3 dischi in questione, senza fare un torto ad un genio che si può amare veramente solo attraverso la fruizione organica del suo percorso. Nei passaggi e tracce che scandiscono il trittico si trovano le molte facce del post punk inglese, riflesse nell’eleganza pop che solo alcuni gruppi della perfida Albione sono riusciti a dipingere. Gusto eccelso per la rifinitura talvolta barocca, un umorismo grottesco affine ai Monty Python, un approccio vittoriano a quelle che sono le rovine del punk. Dukes Of Statosphere e quindi i Kinks di “Village Green Preservation Society”, Tv Personalities e Scrotum Poles. Un viaggio tra chitarre inconfondibilmente 80’s, jangle come non mai, batteria o drum machine che ricordano le 200 lire nei jukebox, synth e pianoforti che toccano il top of the pops in “Wivenhoe bell II”. Se “A holloway person” sembra opera dei Go-Betweens, “Hand of stone” è uno stralunato tributo a Bo Diddley.

Martin, una figura complessa che è riuscita a creare una crepa nell’immaginario musicale dell’epoca. Approcciarsi alle sue creazioni è anche addentrarsi nel ventre molle dei primi anni 80, in cui schegge impazzite, rigettate dall’industria musicale, intasavano le buche della posta di mezzo mondo. Francobolli rivestiti di colla Pritt, uno dei trick che andavano per la maggiore.

Lucidamente consapevole del suo status di outsider, Martin scrive una ballata per Syd Barret, incastonandola in un disco che si apre con un esperimento che fonde il primo hip hop, l’emergente danceteria della Hacienda e la brillantezza degli XTC. “Summer in a small town”, una cartolina dai sobborghi in cui si muovono il factory boy, la Marilyn on a train e, in fin dei conti, a fool like you.


Chambers - S/t 12″ (Shove - Tumorati di Dio - Arctic Radar - Quesuerte)

Mercoledì, Maggio 12th, 2010

(Vom) Chambers, in cinque atti. La messa in scena del post-hardcore, di quello che è fiorito ed ha abbellito la fine dello scorso millennio. San Diego? In parte, ma c’è dell’altro. Ex Violent Breakfast, debuttano con un disco che ha il respiro lungo. Non provoca una subitanea apnea da Stendhal, perché è costruito con accuratezza, attenzione al dettaglio, chiarezza nella trama. Il senso complessivo è l’insieme, un montante senso di disagio che permane ascolto dopo ascolto. I ragazzi hanno coraggiosamente deciso di percorrere il dramma, l’azione, senza cadere nel facile abbaglio dell’esplosione catartica che talvolta, quando mal governata, porta con più facilità alla farsa piuttosto che al senso del tragico. L’incipit di “Black to the future” ha in sé la goccia di grandezza di questo lavoro, in quelle note di basso, che è basso davvero, spalla a spalla con chitarre che sottendono un’Idea. Cosa rara, questa. Perché, seppur il tutto possa essere perfettibile come qualsiasi altra opera d’ingegno, quello che colpisce è la comunità di intenti, la volontà e capacità di raffigurare un paesaggio in cui la voce conduce stentorea su di un sentiero pacato ma inquieto, arrocandosi nei passaggi più impervi. A planet is on fire. Questa vita è un gioco, e ce lo ricordano lasciandoci un piacevole amaro in bocca.

http://www.myspace.com/chambersssss