Archive for Recensioni

Father Murphy / How Much Wood Would A Woodchuck… 7″ (Avant!)

Domenica, Ottobre 16th, 2011

(Vom) Il fascino dello sciancato. Mi sono invaghito di questo disco per merito della mia sbadataggine, confondendo le indicazioni degli RPM ed invertendo il lato A con il B. Tradotto in soldoni, avevo eletto a miglior traccia quella dei Father Murphy, ascoltandola però in loop a 33 giri contro i 45 consigliati, credendo che fossero gli How Much Wood… Il chaos primordiale. Depressiva, lenta da evocare sfacelo e collisioni d’universi. Incantevole compagna per il lato opposto, ugualmente rarefatto, avvolto da fumi d’apocalisse folk, cigni neri in un supplex tale da minacciare crolli improvvisi. Non mi importa stare qua a sbrigliare la matassa spiegandovi chi è chi e chi fa cosa, e tantomeno snocciolare il consueto rosario di nomi propri, discografie, progetti principali o paralleli. Credo siate abbastanza svegli da sapere che un 7” split è costituito di norma da due gruppi. Mettete quindi l’oggetto sul piatto e decidete in seguito come e chi amare di più, oppure abbandonatevi al magma di incertezza godendo dell’insieme tutto, cercando anche di resistere al crepitante scricchiolio che un errore di fabbricazione ha impresso nei solchi dei torinesi figli di Herzog.

Contatti:

Prima streammare: http://avantrecords.bandcamp.com/album/father-murphy-how-much-wood-would-a-woodchuck-chuck-if-a-woodchuck-could-chuck-wood-split-7

Poi acquistare: http://avantdistro.blogspot.com/

Cannibal Movie - Avorio - K7 (Sound Of Cobra)

Domenica, Settembre 25th, 2011

(Vom) Dopo diversi chilometri macinati dalla cassetta, mi sono finalmente convinto che le allucinazioni sonore dei Cannibal Movie meritano palchi con impianti da un’infinità di watt o quantomeno l’ospitalità di qualche pellicola ambientata nel Borneo. Probabile che nei mesi passati scrivani d’ogni risma abbiano ripetuto le formule canoniche, magari scomodando Alan Lomax, Mi Ami o il rinnovato interesse per i ritmi sub sahariani, rendendo superflua ogni mia altra analisi che implichi la chiamata in causa dell’esotismo ed i lontani immaginari che porta con sé.

Triste e curioso che a farmi comprendere il reale potenziale di questo ensemble sia stata la recente dipartita del Maestro Gualtieri Jacopetti ed una chiacchierata con i ragazzi dei Demdike Stare sul documentario “Angeli bianchi… Angeli neri…” di Luigi Scattini. Perché, se da una parte la proposta è in linea con altre più o meno coeve, dall’altra la morbosità con cui viene maneggiata la materia e l’adorabile imprecisione artigianale delle percussioni sono segni distintivi dotati di una forza naïve che va oltre la musica, fissandosi su una pellicola invisibile che il padre dei mondo movies (nonché “nonno” dei futuri film antropofagi) avrebbe sicuramente apprezzato. Il valore dell’opera è indubbiamente nella sua capacità evocativa, amplificatrice di psicosi, traumi e sequenze filmiche sedimentatesi nella nostra corteccia. E’ una giostra ipnotica di esorcismi, riti tribali che attingono tanto dalla cultura dell’Africa nera, quanto dall’arcano paganesimo mitteleuropeo. Immaginate i Neu! abbandonati in una foresta chissadove, costretti a suonare un organo ed un set minimale di batteria per tenere alla larga le bestie. L’impulso del ritmo primordiale - la vita stessa - è colto egregiamente da questi due ragazzi, i quali sono anche il cuore della pugliese Lemming Records. Ne deriva che supportarli è imperativo categorico.

Notate bene: l’ellesseddì scorre a fiumi, come il sangue.

Contatti:

http://cannibalmovie.blogspot.com/

http://soundofcobra.bandcamp.com/album/avorio

http://donatoepiro.blogspot.com/ (Consiglio con calore di procurarvi anche i lavori solisti di Donato!)

Cayman The Animal - Too Old To Die Young - LP (Mother Ship)

Martedì, Settembre 20th, 2011

(Vom) Se bastassse una sola associazione di idee, me la sbrigherei con un CRUZ

… ma sono consapevole di vivere in questo buffo paese, indi per cui ho la certezza che i più, con un incipit del genere, avranno pensato dapprima ad Eros Ramazzotti e poi all’ex fidanzata di Tom Cruise. Voglio però continuare a credere che da qualche parte nell’universo, magari proprio sulle isole Cayman, esista una tribù a me affine, che davanti al monosillabo CRUZ sia pronta ad annuire senza batter ciglio, comprendendo tutto il comprensibile. Perché “Too old to die young” non puoi star lì a dipingerlo con il solito “post-hardcore”, “punk melodico” e altre formule arrugginite che fanno sbadigliare me, lettore ed ascoltatore.

CRUZ e la sua scuderia invece evocano un senso di libertà e astuta cazzonaggine. Metti sul piatto il dischetto, istoriato dalla mano santa di Ratigher, e lui inizia a dimenarsi tra saliscendi, zigzagando dispari, mostrando spesso il culo a chi si aspetta un assalto frontale uguale a sé stesso dall’inizio alla fine. Sessuale, quindi non sempre lucido e dritto al punto, ma con un’intensità ed una intelligenza lirica che lasciano il desiderio di rifarlo in posizioni sempre diverse. Un cocktail con un’ironia d’altri tempi, al gusto di 85/95, meritevole di essere trangugiato e letto tutto d’un fiato.

[...] ripping things out from within, examining them on the table and smiling about them”.

Comprende? Bene, altrimenti tutti in tenda.

Trovate le info canoniche qua: http://caymantheanimal.wordpress.com/

Baby Woodrose - Love Comes Down (Bad Afro)

Giovedì, Agosto 25th, 2011

Vita lunga alle ristampe, utilerrime tanto ai novizi quanto a chi certi album li ha macinati per mesi per poi stoltamente accantonarli. Questo dei danesi Baby Woodrose è pura manna, godimento al cubo per palati più o meno fini. Roccia dura che si incunea nell’epitalamo per aprire le menti, senza vergogna alcuna d’apparire più friabile con questo suo piglio ultramelodico; e con buona ragione, visto che la lezione sulla potenza del pop ce l’hanno già impartita fior di maestri che in questo disco vengono ricordati ed omaggiati a dovere.

Al bando fronzoli e ciance: Love Comes Down è uno dei dischi più piacevolmente acidi del primo decennio pre apocalisse maya. Abbiatelo, inglobatelo e ri-amatelo, se è il caso. Powertrip dei Monster Magnet è la prima evidente pietra di paragone, ma troverete molte altre squisitezze che rimandano a ricordi profumatamente sixties, dai martelli insanguinati di Rocky Erickson a prodezze fischiettabili degne dei Cyrkle. Tutto è bello, soave, pieno di sottotrame, pathos e ronzii chimici. Come ciliegione sulla torta, la prima stampa di 500 copie porta con sé un 7” esclusivo con due inediti tratti della stessa sessione di registrazioni, ulteriore motivo per vincere l’accidia e pigiare il tasto BUY!

http://badafro.dk/

http://www.myspace.com/babywoodrose

Toys Eaters - S/t E.P.

Lunedì, Luglio 25th, 2011

(Vom) Sono nella sala d’attesa della Tiburtina in fiamme. I Chrome nelle cuffie. Anzi, no: non ho né walkman né cuffie. Mi svacco sulla poltrona in angolo. Alla mia destra un tavolo coperto da un drappo che vorrei poter dire essere di velluto rosso ed invece è fustagno, colore indefinito. Lo sollevo e scorgo una parata di effetti e distorsori. Mi si avvicina un controllore. Non è un nano, come mi sarei aspettato. Tossisce. Ha una spilla dei Front Line Assembly sul cappello. Con la mano a cucchiaio attorno alla bocca, mi si accosta all’orecchio per sussurrare qualcosa. “UAAAAAAAAAARRRRRRRRRRRRGGGGGGGGGGGGHHHHHHHHH!” Lo scherzo più antico del mondo, quello dell’urlaccio all’improvviso che ti fa scoppiare il cuore e pisciare nelle mutande.

Terrore in punta di piedi, questo e.p. dei Toys Eaters. Delicato nel suo essere rumoroso, pacato e morigerato nell’imbastire brani che non indugiano mai troppo sul fattore “fàmolo strano”. Un bellissimo disco minaccioso, capace di evocare impianti industriali e rituali dimenticati, lasciando sempre quella punta di voglia di farlo ancora. Ed ancora. Ed ancora.

http://toyseaters.bandcamp.com/album/toys-eaters

Bam! #7.1 - Sometimes records ed altre robe

Lunedì, Marzo 7th, 2011

Sappiamo che dall’ultimo numero di Bam! è passato molto tempo, ma di mezzo ci sono state guerre, carestie, la moria delle vacche e tanti cazzi personali. Ciononostante, siamo vivi, con cervelli e manine in fermento, e questo è solo un aperitivo per ribadire che ve n’è bisogno. Ché di falsa modestia son piene le fosse.

All’interno di questo ciclostile - come l’ha anacronisticamente definito un mio amico - troverete:

- Intervista ad Antonio della Sometimes Records

- Bi-colonna a cura del solipsistico e rancoroso Ron Fuckin’ Swanson

- La Fotoromanza, concorso senza premi che ha visto eccellere Jacopo Besutti con il suo toccante spaccato bergmaniano di una famiglia per bene. Prossimamente verranno pubblicate anche tutte le altre esilaranti versioni.

Di questo bollettino esiste anche la versione cartacea, che sto seminando qua e là nei migliori Autogrill del nord Italia.

Andate e procreate, scaricando, sharando, diffondendo:

CLICKACLICKACLICKA! ===> Bam! #7.1 in pdf

Naked On The Vague / Wet Hair - 12″ split (Night People)

Domenica, Febbraio 27th, 2011

(Vom) Gli australiani Naked On The Vague, oltre ad avere un nome che non so pronunciare, nel 2010 hanno pubblicato uno dei dischi più belli del mondo, “Heaps Of Nothing”, zeppo di anthems per una piccola ribellione interiore. Ora rieccoli qua, ancora più carichi di disagio a bassa fedeltà. L’armamentario è il solito: chitarre e voci zoppe, una tastiera che stonando ti penetra davanti e dietro. “Send them sailing” è la colonna sonora alla prima pera di Christiane F.
Gli splittanti Wet Hair (ex Raccoo-oo-oon con LP e 7” sparsi tra Not Not Fun e Dull Knife) si difendono alla grande, a suon di scarnezza e languidi gospel catatonici. “The Labor Of Love” è l’inno supremo all’indolenza. Se ancora non li conoscete, questo 12” è un ottimo biglietto da visita.

http://www.myspace.com/nightpeoplerecords

Martinets / Reverend Backflash / Wild Week-End / Lester and The Landslide Ladies

Mercoledì, Febbraio 16th, 2011

(Vom) Se cercate un’etichetta schietta, trasparente ed onesta non andate oltre: la Tornado Ride, anche quando non incontra i miei o i vostri gusti, rimane una delle scelte migliori. La label emiliana è infatti una delle poche che trasuda devozione alla causa rock’n’roll, lontana dalla grettezza plastificata dei tanti trasformisti che bazzicano il punk italico.

Della sua recente sfornata di pubblicazioni comincio col segnalare “Comeback Tour” dei Martinets, buona band con Daniel Rey al basso. Se non sapete chi è, andate qua, ché facciamo prima: www.google.it. Chi non è in cerca di innovazione a tutti i costi, rimarrà gradevolmente colpito da questa raffica di onesto rock. Di volta in volta ci si può aggiungere i suffissi punk o power, ma nel complesso l’atmosfera è quella di un buon lavoro memore di Stones o Doughboys. I riferimenti sono mille altri, e ciò nonostante la personalità dei Martinets ne fuoriesce intatta. Se per voi “punk” fa rima con “malinconia”, allora non aspettate oltre.

I Reverend Backflash fan parte della schiera di hard punkers che guardano, attraverso lenti scandinave, al passato dell’hard e del glam. Hanoi Rocks per la prepotenza delle melodie, Gluecifer per il peso specifico delle chitarre. Se non si fa caso al canonico immaginario da “sleazy rock band” – qui ancor più stridente, trattandosi di una band austriaca! – ci si può godere in scioltezza “Who’s the man?!”. Gran produzione, cura maniacale dei particolari, bridges studiati al millesimo e refrains che in buona percentuale si fischiettano con piacere… cosa rara! “Hit It Home”, “Another Part Of Town”, “Say Hello” ed altre. Sinceramente, un disco che raccomando anche a chi non usa l’eyeliner.

“Punch” è il nuovo album dei Wild Week-End, una delle formazioni più genuinamente punk rock del nostro lurido stivale. I tre continuano a sfoderare rock massiccio di impronta decisamente americana. “Sold My Soul” è una bomba che pare uscita dalle tasche dei Dictators, ma anche il resto scorre rapido, robusto, dosando con attenzione ceffoni e melodia. Chi sente la mancanza di bands come i Nervebreakers si divertirà parecchio, a patto che sorvoli su due aspetti: A) l’eccessiva durata: questa è una mia fisima, I know, ma verso la decima traccia ero già sazio; B) la pronuncia inglese, che quando fa capolino prepotentemente in “The Teacher Gives Me an A”, mette i brividi… se però era una gag volontaria, sorry, ma non capendo mezza parola del testo non l’ho colta.

Per ultimo lascio Lester and the Landslide Ladies, formazione attiva già da alcuni anni, che con Estranged In Ladyland” (registrato nel 2009) sembra iniettare hard-rock nella poesia urbana di Warren Zevon. Canzoni brevi, incisive, con idee pop non scontate, che però sono parzialmente rovinate da una produzione non all’altezza e da volumi sbilanciati, soprattutto per quanto riguarda la traccia vocale. Con maggiore attenzione ai suoni sarebbe stato un disco ancor più gradevole. Comunque al di sopra della media.

Smart Cops - Per Proteggere e Servire - CD

Lunedì, Febbraio 7th, 2011

(Vom) Stavo per premere play, quando una pallottola - sicuramente deviata dal rimbalzo su di un idrante lanciato per caso contro il guardrail dell’autostrada – ha frantumato la mia finestra. Dannati sbirri, è evidente che hanno paura delle nuove esternazioni di questi attillatissimi Vendicatori! Gradualmente allontanatisi dall’irruenza 80’s hardcore dei loro esordi - suggellata da un divertente 7” di covers a tema poliziesco (ma va?) - ora gli Smart Cops sfoderano 11 brevi manganellate beat-punk, come se i Dean Dirg fossero prodotti da Caterina Caselli. E ammetto che è molto più piacevole farsi perquisire da pulotti del genere. Un buon disco, ottimamente prodotto, che sono sicuro guadagnerà maggior valore in sede live. Se dietro minaccia dovessi scegliere una sola canzone dal mucchio, allora punterei il dito su “Sangue d’Africa”… ma che mistero.

Nota Bene: la versione vinilica uscirà per l’ammeregana Sorry State. Check it out!

http://soundcloud.com/smartcops

http://www.myspace.com/smartcops

http://www.latempesta.org/

http://www.sorrystaterecords.com/

The Dirtbombs - Party Store - 3 x 12″ (In The Red)

Martedì, Gennaio 18th, 2011

(Vom) Lo dico in apertura. Questo disco sarà malvisto da buona parte dei rednecks che si coagulano attorno alla supposta “scena garage-punk”.
Siamo solo a metà gennaio e l’opera dei Dirtbombs si accaparra, quantomeno per lucidità archeologica e spavalderia, più di un podio. Chi segue sin dagli esordi Mick Collins, sa che il ragazzone non si è mai adagiato sugli allori, sporcandosi costantemente le mani con blues, punk, jazz, gospel, noise, funk, soul, pop e via enumerando.  Pur con tutti gli stravolgimenti del caso, le differenti bands e direzioni sonore, Mick continua a dimenarsi nella stessa discarica detroitiana immortalata in un video dei Gories (costato la bellezza di $20). Del beat non butta via nulla, tantomeno della cultura musicale della sua città natale, e l’ultima sua opera mette in risalto quest’aspetto sin dalla cover art: un’insegna che è l’emblema del marciume di una città e dei suoni che produce, del suo sfacelo economico ma anche dello humour indispensabile per rileggerne il passato. Non per niente questo è un party album!
Dieci anni fa con “Ultraglide in black” i Dirtbombs omaggiarono la black music, dai Parliaments a Phil Lynott; ora l’operazione si fa ancor più concettuale, poiché sotto i ferri finiscono alcuni dei migliori scampoli dell’era post-disco di Detroit. E con disco, intendo proprio DISCO, quella con la mirrorball in mezzo alla sala. Synth-dance, house, techno ed electro sono i riferimenti sonori che in questi solchi vengono trasfigurati in un vortice che parte dal Michigan per atterrare in terra krauta. Loops & drones, chiamateli come volete. Patterns, in fin dei conti, acidi, danzabili, alienanti, dipende dalla traccia in cui incappate. Con “Good life” degli Inner City e “Strings Of Life” di Derrick Mays si raggiunge l’apice del dancefloor, tanto che non oso immaginare i litri di sudore che si verseranno durante il tour di questo album, manco fossimo sulla pista del mitologico The Scene.
Ad ogni modo, come era lecito aspettarsi, in questo “Party store” gli articoli esposti sono variegati, tanto che la traccia 6 è una suite/mantra di 20 minuti che fa rivivere “Bug in the bass bin” dell’Innerzone Orchestra , agghindando l’originale funk tribale con rumorismi arkestrali, con lo stesso Carl Craig addetto al synth-programming.
Sia che vadano attorno a perle gelide come Cybotron con il loro consueto armamentario - doppia batteria, of course, e molte parentele con la foresta nera degli A-Frames  - , sia che si abbandonino a sperimentazioni con pads elettronici e pedali assortiti, il risultato rimane stupefacente. E chissà che giunti alla fine del lato F non ci si renda conto che l’anima e le pulsioni sono comuni, seppur veicolate attraverso linguaggi differenti. “Humanize something that is without error”, ecco quel che è.

N.B. Merita l’acquisto anche solo per l’adesivo appiccicato nell’edizione triplo 12″.

http://www.thedirtbombs.net/

http://www.intheredrecords.com/